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| | Psicologia e Gioco [I] | |
| | Autore | Messaggio |
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Adbhull Custode di Zendra
Età : 39 Località : Modena Messaggi : 1778
| Titolo: Psicologia e Gioco [I] Mer Mag 15, 2013 10:23 am | |
| Dato che Zendra è un forum, e una rivista, dedicata al fantasy e ai giochi, siano essi wargames, giochi di carte o di ruolo, vi presenterò un piccolo resoconto sugli aspetti psico/sociali del gioco e su come il gioco in se' non sia qualcosa da prendere sottogamba o liquidare come semplice "roba da bambini"
Partiamo dal termine e dal suo significato Gioco "Per gioco si intende un'attività volontaria e intrinsecamente motivata, svolta da adulti, bambini, o animali, a scopo ricreativo. Nella lingua italiana, la parola "gioco" viene anche impiegata in modo più specifico, riferendosi ad attività ricreative di tipo competitivo, e caratterizzate da obiettivi e regole rigorosamente definiti." (http://it.wikipedia.org/wiki/Gioco) Un definizione che, ad un primo sguardo, appare esaustiva, ma in realtà non sembra contenere in se' tutte le sfaccettature del gioco, in particolar modo se andiamo a vedere quella che wikipedia considera un uso più specifico della parola; un gioco competitivo, con regole e obiettivi rigorosamente definiti può essere una partita a Warmachine, ma già una sessione di gioco di ruolo perde la competività (e in effetti anche l'obiettivo, che viene definito di volta in volta e non è conosciuto a priori se non, forse, nella mente del GM).
Neppure la lingua inglese ci aiuta per la ricerca di una definizione più sistematica, in quanto scinde l'italiano gioco in due lemmi:
game: il gioco basato su regole precise; play: il gioco non regolamentato, ma quale verbo (to play) significa sia giocare che suonare.
Andando più a fondo nelle possibili declinazioni di significato vediamo che i due termini così distinti non sono; play può riferirsi alle tattiche di gioco, dove game può, in taluni casi, prendere il senso di caccia.
Un importante spunto per definire il gioco viene da Roger Caillois (I giochi e gli uomini, Bompiani, 1981) che sviluppa prima di tutto un’analisi che permette di determinare, per contrapposizione al resto della realtà, gli ambiti entro cui è possibile definire il gioco. Il gioco è dunque un’attività: - libera (un giocatore non può essere obbligato) - separata (ha dei limiti di spazio e di tempo) - incerta (lo svolgimento e il risultato non possono essere conosciuti in anticipo) - improduttiva (non crea beni o ricchezza, salvo uno spostamento di proprietà nella cerchia dei giocatori) - regolata (risponde a regole proprie che sospendono momentaneamente le leggi ordinarie) - fittizia (il giocatore è consapevole delle diffe renze con la vita normale) Quindi Callois fa una classificazione dei giochi, suddividensoli in: Agon - I giochi di competizione, i giochi, cioè, in cui vengono create artificialmente condizioni di parità tra i giocatori perché emerga, incontestabile in una particolare qualità, il valore del vincitore. L’agon può avere carattere “muscolare” (incontro sportivo) o “cerebrale” (gli scacchi). Alea - Sono i giochi dove il destino è il solo artefice della vittoria (i dadi, le lotterie). Il giocatore non può che aspettare il verdetto della sorte, nessuna qualità o impegno può aiutarlo. Spesso c’è una posta e quindi un rischio al quale sarà proporzionale la ricompensa. Mimicry - I giochi in cui si assume un’identità fittizia. Ci si muove in un mondo fittizio in cui si gioca a credersi o a far credere agli altri di essere un altro (il gioco di ruolo ne è un esempio perfetto). Ilinx - I giochi in cui si cerca di ottenere la vertigine, perdendo per un attimo la stabilità e la lucidità e accedendo a un momentaneo stato di trance o smarrimento percettivo. Rientrano in questa categoria le giostre, i girotondi vorticosi a due, le acrobazie, le altalene o il valzer. Caillois segnala però anche l’esistenza di una “vertigine di ordine morale”, riscontrabile per esempio in alcuni giochi che improvvisamente possono degenerare in una rissa disordinata, come una sfida in un picchiaduro. Ovviamente queste versioni "pure" possono miscelarsi in vario modo nei giochi; In un wargames, ad esempio, il tiro del dado per decidere campo e tripo di sfida è classificabile come alea, mentre il resto del gioco come agon.
Accanto alle quattro categorie in cui poter suddividere i giochi, Caillois analizza anche la funzione di quelle che chiama “potenze” o “modi di giocare”. Sono la paidia e il ludus. Il gioco è nella paidia quando è ancora “potenza primaria d’improvvisazione e spensieratezza”, quando cioè è ancora esigenza incontrollata di distrazione e fantasia (il “chiasso” dei bambini in cortile). Non ci sono nomi per designare queste attività perché restano al di qua “di ogni stabilità, di ogni connotazione distintiva”. Quando poi questa esigenza generica, ma potente, di giocare comincia a organizzarsi - a porsi cioè degli obiettivi e delle regole - ecco che interviene il ludus. Si può dire che il ludus “appare come il complemento e l’educazione della paidia che esso disciplina e arricchisce”. La paidia è tumulto ed esuberanza, il ludus crea le occasioni e le strutture attraverso le quali il desiderio primitivo di giocare può essere appagato. Secondo Caillois all’interno di ciascuna categoria di gioco è facilmente rintracciabile un passaggio "evolutivo" dalla paidia al ludus. Così in agon si può andare dalle corse sfrenate e improvvise tra bambini alle competizioni sportive. In alea dalle filastrocche per fare la conta alle lotterie. In mimicry dalle imitazioni dei bambini al teatro e in ilinx dal roteare infantile alle acrobazie. L'aspetto più interessante dell'opera di Callois è che, in queste definizioni di gioco, cadono perfettamente non solo i giochi così definiti dall'italiano, ma anche la produzione artistica, come anche la musica.
Anche in ambito più squisitamente psicologico, molto è stato scritto sul gioco. Tra i primi autori che si occupano del gioco, non si può non citare Freud e il famoso "gioco del rocchetto": Nel 1920, Freud notò come un suo nipotino di 18 mesi si intrattenesse a lungo con un gioco particolare: prendeva un rocchetto e lo lanciava lontano facendolo sparire sotto il letto, il tutto accompagnato da esclamazioni vocali connotate da intensa affettività. Il gioco pareva ripetere, in una sorta di drammatizzazione affettivo-motoria, una serie di esperienze altrettanto emotivamente intense: le partenze della madre, vale a dire l’esperienza di separazione. Un giorno Freud notò come questo gioco facesse parte di uno più complesso: il piccolo tirava il rocchetto, lo faceva sparire, poi lo recuperava. Il gioco completo appariva raramente, la prima parte sembrava bastare a sé. Perché ripetere, riproporre un’esperienza dolorosa? Secondo Freud è la "coazione a ripetere" che spingeva il bambino a giocare. L'obiettivo del bambino è quello di elaborare psichicamente, impadronirsi di un evento che ha suscitato una forte impressione emotiva, per cercare di "risolvere" in maniera diversa, più soddisfacente, l'evento. Questo "uso" di sperimentazione del gioco viene evidenziato da Freud anche quando, analizzando i giochi dei maschi e delle femmine, si sofferma sui "giochi d'imitazione"; il bambino imita la figura genitoriale dello stesso sesso per identificarvisi, cercando di "essere lui" attraverso il gioco. Un autore in particolare ha fatto del gioco uno dei fulcri concettuali del suo lavoro: Donald Winnicott. Winnicott analizza un periodo cruciale dello sviluppo mentale del bambino, il periodo in cui il bambino getta un ponte tra la realtà soggettiva (governata dal "processo primario" per cui il bambino crea nella sua fantasia la realtà) e la realtà oggettiva condivisa (in cui il bambino trova già la realtà, ne è influenzato e può influenzarla). Per fare ciò, il bambino si serve di un oggetto reale, che appartiene alla realtà esterna, ma ad un tempo possiede, nel gioco del bambino, caratteristiche altre, che fanno parte del suo mondo soggettivo: la coperta di Linus, Hobbs il tigrotto, pe che costituisce un oggetto "magico", che è ad un tempo ciò che è nella realtà, dall'altro. Per W. l’oggetto transizionale simbolizza un viaggio in due direzioni, l’una intesa a creare la realtà oggettiva dell’oggetto, l’altra la realtà oggettiva del soggetto, l’”Io sono”.
Una particolarità che ci interessa da vicino e che Winnicott ben individua nell'oggetto transizionale è la sua "paradossalità". L'oggetto transizionale è magico, ma non lo è; è reale, ma in larga parte fantasmatico: il bambino è capace di "usare" l'oggetto transizionale perché nopn ha bisogno di risolverne il paradosso. Se pensiamo ai nostri oggetti transizionali li ricorderemo con piacere e, molto probabilmente, ci stupiremo di come, ad un certo punto (che è il punto in cui l'oggetto transizionale perde la sua necessità di ponte), ce ne siamo semplicemente dimenticati; l'oggetto cessa la sua funzione e, molto spesso sparisce (per essere più chiari non è che sparisce nel senso reale del termine, ma la sua, finora enorme. importanza affettiva, si esaurisce di colpo e quindi viene accantonato). Sebbene il primo oggetto transizionale scompaia abbastanza presto nella vita del bambino, altri oggetti possono presentare aspetti di "transizione": buona parte dei giochi, e del divertimento che se ne trae, deriva proprio dal fatto che vengono vissuti a metà tra la realtà e la fantasia... se osservate una partita di Warhammer 40k e sentite uno dei giocatori urlare "Sangue per il Dio del sangue. Teschi per il Dio dei teschi!" non temete per la vostra vita, eppure l'urlo è autentico :)
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| | | The Candyman Guardiano di Zendra
Età : 36 Località : Genova Messaggi : 3236
| Titolo: Re: Psicologia e Gioco [I] Mer Mag 15, 2013 11:10 am | |
| Una domanda: cosa succede se l'oggetto transizionale viene a mancare prima di aver assolto completamente alle sue funzioni? | |
| | | Adbhull Custode di Zendra
Età : 39 Località : Modena Messaggi : 1778
| Titolo: Re: Psicologia e Gioco [I] Mer Mag 15, 2013 11:52 am | |
| - The Candyman ha scritto:
Una domanda: cosa succede se l'oggetto transizionale viene a mancare prima di aver assolto completamente alle sue funzioni? In generale l'oggewtto transizionale è particolarmente protetto dal bambino, quasi come se fosse una parte di se' (ad esempio è tipico di un bambino non separarsi mai dal suo orsetto, neppure perché venga lavato, e nel caso i genitori riescono a "recuperarlo" il bambino è particolarmente incacchiato XD).... Nel caso l'oggetto sparisca, in generaleil bambino trasferisce su un altro oggetto la transazionalità..... oppure diventa psicotico (in quanto non compirà mai definitivamente la distinzione tra reale e irreale) | |
| | | The Candyman Guardiano di Zendra
Età : 36 Località : Genova Messaggi : 3236
| Titolo: Re: Psicologia e Gioco [I] Mer Mag 15, 2013 12:16 pm | |
| psicotico eh?.... ehehehehehehehhehehehe.
No, dai, non sarò così cattivo...
... XD | |
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| Titolo: Re: Psicologia e Gioco [I] | |
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| | | | Psicologia e Gioco [I] | |
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