Maresciallo_Helbrecht Veggente di Zendra
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| Titolo: Crisi, petrolio, inflazione e affini Lun Feb 28, 2011 12:59 pm | |
| Eccovi due interessanti articoli solla situazione socioeconomica attuale:
Il prezzo della crisi: 1.200 euro all’anno
Per l’economia italiana, un aumento del 20% del prezzo del petrolio significa una minor crescita di mezzo punto percentuale in tre anni. Il governatore di Bankitalia Mario Draghi, analizza il possibile impatto del caro-greggio sulla nostra economia. E se per ora gli approvvigionamenti dal Nordafrica possono essere sostituiti da altri Paesi fornitori, «le drammatiche vicende a cui stiamo assistendo - dice - potrebbero indebolire gli investimenti dell’industria petrolifera in quell’area, e far rincarare l’energia, con ripercussioni sulla crescita mondiale». Nell’ultima settimana i prezzi petroliferi sono rincarati mediamente del 14%, con un picco di 119 dollari al barile per il Brent del mare del Nord, e di oltre 100 dollari per il Wti americano. Le quotazioni sono scese sotto i massimi soltanto all’annuncio di un aumento della produzione da parte dell’Arabia Saudita. Tuttavia, alcuni analisti (come la Nomura) ritengono che se si dovessero fermare del tutto le esportazioni nordafricane, i prezzi porebbero salire fino a 220 dollari al barile. E c’è l’incognta dell’impatto sui mercati dello stop alla produzione della maggiore raffineria dell’Irak, a causa di un attentato. I banchieri centrali come Draghi temono l’impatto dei prezzi energetici sull’inflazione, che in Europa ha abbondantemente superato il 2%, cioè il punto di riferimento della Bce. «L’inflazione di fondo rimane contenuta - osserva Draghi - ma l’emergere di tensioni richiede di valutarei tempi e le modalità di una normalizzazione dei tassi d’interesse», oggi ai minimi storici. Giovedì si tiene a Francoforte un atteso Consiglio della Banca centale europea, dove i «falchi» potrebbero forzare per un aumento dei tassi. Un evento che però, secondo il governatore di Bankitalia, «non pregiudicherà necessariamente la crescita», neppure nei Paesi più deboli di Eurolandia. In Italia, la Confcommercio sottolinea che le tensioni in atto sul petrolio e altre materie prime, come gli alimentari, potrebbero determinare una crescita «prossima e repentina» dei prezzi al consumo. Ipotizzando un aumento del 5% rispetto ai livelli alle quotazioni di gennaio, e una cerscita del 2% delle altre materie prime, le conseguenze sui beni a larga diffusione sarebbero: + 2% per pane, cereali e settore lattiero-caseario; + 2,1% nel complesso degli alimentari; +0,7% per il complesso dei beni al consumo. Nel giro di un anno gli aumenti sarebbero ben più elevati. Secondo le associazioni dei consumatori, la crisi costerà alla famiglia italiana 1.200 euro all’anno, soprattutto per benzina, riscaldamento e bollette di gas ed elettricità.
Fonte: http://www.ilgiornale.it/interni/il_prezzo_crisi_1200_euro_allanno/27-02-2011/articolo-id=508631-page=0-comments=1
L'Italia stenta da 15 anni
«Nella nostra economia, un aumento del 20% del prezzo del petrolio determina, ceteris paribus, una minor crescita del prodotto di mezzo punto percentuale nell'arco di tre anni». Il governatore della Banca d'Italia non si sottrae a una stima dell'impatto che l'aumento della "bolletta petrolifera" legato alla crisi libica potrebbe comportare per l'economia italiana, se si consolidasse. Ma, qui al Forex, Mario Draghi ricorda soprattutto che lo sviluppo resta un obiettivo primario, nel mondo e in particolare nel nostro paese, dove «azioni riformatrici più coraggiose migliorerebbero le aspettative delle imprese e delle famiglie». Alle banche, invece, recapita un messaggio preciso: con un clima esterno difficile per il business creditizio occorrerà convivere a lungo, non si tratta di difficoltà temporanee, dunque è urgente attrezzarsi, in termini di politiche patrimoniali, gestione della liquidità, abbattimento dei costi. «In Italia la crescita stenta da quindici anni» sottolinea il governatore. E cita le lacune da correggere con riforme strutturali: si chiamano burocrazia, scuola, questione-giovani, fisco. «A beneficio della crescita dell'economia andrebbe un assetto normativo ispirato pragmaticamente all'efficienza del sistema». Infatti «nonostante i passi in avanti, l'Italia si segnala ancora in tutte le classifiche internazionali per l'onerosità degli adempimenti burocratici, specie quelli addossati alle imprese». Non basta. «Il sistema di istruzione è decisivo» rimarca il governatore, spiegando che il gap di apprendimento degli studenti italiani rispetto a quello degli altri paesi si è ridotto ma resta ancora grave, in particolar modo al sud; «la valorizzazione del merito è fra i principi generali della riforma approvata – afferma – ed è un primo passo nella giusta direzione». Poi, affronta di petto la questione giovanile: «I salari d'ingresso dei giovani sul mercato del lavoro, in termini reali, sono fermi da oltre un decennio su livelli al di sotto di quelli degli anni Ottanta. La recessione ha reso più difficile la situazione» afferma, sottolineando che la disoccupazione giovanile sfiora il 30% e che la dipendenza dei ragazzi dalla ricchezza e dal reddito dei genitori è un elemento di «forte iniquità sociale». «Vi contribuisce fortemente – aggiunge – la segmentazione del mercato del lavoro italiano, dove vige il minimo di mobilità a un estremo, il massimo di precarietà all'altro». Si tratta di «uno spreco di risorse che avvilisce i giovani e intacca gravemente l'efficienza del sistema produttivo». Altro tema di riflessione: «Troppe imprese, anche di successo, rimangono piccole. Non è un preconcetto, è un giudizio su chi nasce piccolo e resta piccolo per sempre» chiosa Draghi, ricordando che investimenti e innovazione hanno uno stretto legame con la scala dimensionale. Questi comportamenti, aggiunge «risentono anche di incentivi impropri a non crescere: un sistema fiscale con meno evasione e aliquote più basse favorirebbe la decisione di aumentare la dimensione d'impresa». In tema di finanza pubblica, del resto, il governatore ricorda che il programma del governo prevede per il 2011-2012 un contenimento della della spesa pubblica entro l'1% l'anno. Questo contenimento dovrà proseguire, dice, dopo aver ricordato che il debito pubblico sfiora il 120% del pil, e «la composizione della spesa primaria deve essere orientata a favore della crescita». Non ci sono alternative, perché la pressione fiscale «supera di tre punti quella media dell'area dell'euro» e perché potrebbe essere necessario «compensare a livello centrale eventuali aumenti del prelievo decentrato, conseguenti al federalismo fiscale». Da banchiere centrale europeo, Draghi ha avvertito che la Bce tiene sotto stretto monitoraggio la dinamica dell'inflazione e che a volte è necessario giocare d'anticipo: «La politica monetaria deve prevenire un deterioramento delle aspettative, per evitare che l'impulso proveniente dai prezzi internazionali si trasmetta a quelli interni e ai salari oltre il breve periodo». Alle banche ha ricordato che l'imminente secondo stress test europeo si baserà su scenari particolarmente severi. Poi, sorridendo, Draghi ha rivendicato «come un complimento», le parole di un anonimo banchiere che aveva definito «asfissiante» la vigilanza di Via Nazionale. Il governatore incalza quindi gli istituti di credito, ricordando che «il rovescio della medaglia» di un sistema basato su un modello tradizionale di business è l'essere «fortemente dipendenti dal margine di interesse e dall'andamento della congiuntura». Dunque, nell'epoca della bassa crescita, la redditività è minore, i costi della raccolta all'ingrosso sono maggiori per via dell'aumento del rischio-paese (le banche italiane pagano 70 punti base di più rispetto alle tedesche) e occorre avere più patrimonio in vista di Basilea3. I coefficienti italiani sono buoni, specie per i piccoli istituti, ma c'è ancora da fare. Il governatore elenca una serie di azioni possibili: «Agire con determinazione per ridurre l'incidenza dei costi sui ricavi», usare la tecnologia, semplificare le strutture produttive, cedere attività e adeguare le politiche di remunerazione. Un ventaglio di strumenti a cui aggiungere «la gran parte degli utili» che sarebbe opportuno sottrarre ai dividendi. Ma Draghi giudica «inevitabile, non appena le condizioni lo consentiranno, che si ricorra anche al mercato dei capitali».
Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-02-27/litalia-stenta-anni-081144.shtml?uuid=Aaqk50BD#continue | |
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