Ho cambiato il romanzo, seguendo i consigli di Doc Sapo e di Nunzio. Ho tentato di correggere gli errori, di dare una spiegazione più plausibile al fatto che i fratelli lottassero contro i fratelli e ho cercato di allungare, senza "manghizzare" la figura dell'angelo.
Di come diventammo gli Angeli Funerei.
La nostra vita è la vita di un
guerriero, i combattimenti le nostre preghiere, il sangue la nostra
ricompensa. Veniamo selezionati, migliori fra i migliori, noi non
siamo più uomini. Noi siamo gli angeli della vendetta, noi siamo gli
space marine.
Dicono che esistono mille e più
capitoli, sparsi fra le innumerabili stelle, innumerevoli compagnie
che combattono nel' immutabile destino.
Ogni qual volta i sommi signori della
terra dichiarano che è giunto il momento, nuovi capitoli vengono
creati, nella cosiddetta fondazione. La nostra progenitrice è la
diciassettesima, prima della ventunesima maledetta, dopo le maestosi
dieci, comunque una delle più fulgide.
Il nostro seme genetico era quello
degli Angeli Sanguinari. Si raccontava già di una certa tara, ma
essi erano anche l'esempio di perfezione e dedizione all'Imperatore.
Inoltre avremmo seguito il Codex Astartex alla lettera, basandoci sui
precetti di Roboutte Guillman e i dettami di Sanguinius, due dei più
valorosi primarchi.
Angeli Funerei fu la nostra nomea.
Angeli perché come queste figure mitologiche dei tempi che furono,
caliamo dal cielo, e terribile è la nostra ira vendicativa. Funerei
perché siamo memento di quel che accade a tutte le cose: al tempo
stabilito,esse muoiono. Ma chi avrà la forza di morire nel nome
dell'Imperatore, siederà vicino alla Sua maestà nell'argenteo coro
del' Astronomican.
Il tempo è così confuso, come la mia
scrittura. Alterno i tempi e i modi dello scrivere, ma capirete che
devo rendere la narrazione diretta, se voglio che tale sia il
messaggio che essa contiene.
Di quel che significa essere Angeli
Funerei.
Subito, venimmo scaraventati nella
battaglia. Nuove e fulgide le nostre armi, ma le nostre menti già
anziane; portavamo infatti l'eredità delle progenoidi e i consigli
dei veterani. Su cento mondi portammo la volontà dell'Imperatore. Su
mille stelle innalzammo il nostro vessillo.
Il nostro stile di combattimento era
semplice: dopo un pesante bombardamento, dai nostri corazzati, o
dalle navi se la battaglia avveniva fra le stelle, precipitava una
pioggia di metallo, le nostre capsule d'atterraggio e assaltatori su
zaini a reazione. E fra i fuochi dei relitti, comparivano le massicce
figure dei fratelli terminator. Non ci volle molto tempo che anche i
possenti dreadnought comparissero fra le nostre fila.
Alcuni fra i nostri confratelli
spiccavano per doti e qualità eccezionali. I migliori strateghi
diventavano capitani di compagnia;coloro portati ad affrontare le
insidie del warp bibliotecari e i più devoti cappellani. Avevamo
anche degli abili techmarine, allenati su Marte, il pianeta-tempio
del dio-macchina.
La nostra era la vita di ogni altro
capitolo di space marine. E come ogni altro capitolo, avevamo un
pianeta capitolare, dove reclutare neofiti che un giorno sarebbero
diventati nostri confratelli. Era Lete, un pianeta tranquillo, ma
che serviva già con la guardia imperiale e con il proprio lavoro. A
differenza nostra, Lete esiste ancora, ed è un mondo prospero.
Della grande battaglia.
Dieci compagnie. Mille uomini. Senza
considerare i servitori e gli ausiliari. Tutti impegnati in questa
eterna crociata. Nel 998.m41, il nostro capitolo era al massimo dello
splendore, sotto la guida del Maestro Capitolare Azaziel. Eppure,
quando la terza guerra per armagheddon iniziò, noi eravamo già
impegnati.
L'arcamondo Elawinie giunse a Lete,
dopo una tempesta warp, insidiandosi in un mondo satellite. Tale
affronto andava punito, gli xeno non potevano reclamare ciò che era
di diritto dell'Imperatore Dio.
Rapida la nostra ira. E per quanto mi
dolga ammetterlo, fallì. Due compagnie atterrarono in piene forze
sul pianeta satellite dove si era ancorato l'arcamondo. Una luna
assassina che noi conoscevamo come Stigea.
Dopo una settimana, giunse la
disperata richiesta d'aiuto.
Quando arrivai con la quinta e la
sesta compagnia, attorno a me, vi era solo la desolazione. Nei
crateri, i resti ancora fumanti di armature, ossa, ceramite e sangue.
Una spaventosa battaglia era stata combattuta. E nessuno dei nostri
era sopravvissuto.
Della temibile vendetta.
Decidemmo quindi di temporeggiare,
ritirandoci. Eppure quegli orrori si impressero nella mia mente, e in
quella dei miei confratelli. Sopratutto in Azaziel, che aveva
partecipato alla seconda spedizione. Non sapeva darsi requie di
quello che era accaduto, quasi la colpa fosse solamente sua. Poco
tempo dopo prese la sua decisione.
Riunì nella sala comando della
“Parola di Giustizia”, la nostra nave ammiraglia, tutti i
comandanti. Io ero seduto accanto a Masariel, il giovane Maestro
della Santità. Aveva raggiunto il titolo con rapidità insolita, ma
con fede veritiera. Anche lui però era un guerriero temprato, e non
si stupì della decisione del comandante -Attaccheremo qui.- ci
disse. -Con tutte le compagnie rimanenti, tranne la nona e la decima.
La prima compagnia sarà la prima a sbarcare.-
E questa volta gli eldar non furono
così fortunati. Non ci interessava perché fossero giunti qui,
perché combattessero o perché non fuggissero. L'unica cosa
importante era sterminarli.
Attorno a me si trovavano i
bibliotecari, scagliavamo fulmini contro possenti camminatori; i
nostri assaltatori intrecciavano i passi di una danza mortale con i
loro guerrieri d'aspetto, i devastatori ruggivano preghiere con i
loro cannoni.
E poi, la loro arma più pericolosa
colpì. Sfreccianti nere saette si abbatterono fra le nostre fila. I
loro veggenti, in arcione a moto a reazione, impugnando lame stregate
che tagliavano le armature come la carne. Ma non solo, fu il loro
attacco psionico che trafisse le nostre menti come un lampo.
Della rabbia nera e della furia rossa.
E quando le sorti della battaglia,
anzi dell'intera guerra, stavano volgendosi a favore di quell'infame
razza, il nostro antico retaggio si fece sentire, dopo anni di
torpore. Non so se accadde per via dell'attacco psionico o per quel
che sarebbe successo più tardi... ma in noi si risvegliò la rabbia
nera e la sete rossa.
Vidi confratelli gettarsi sotto una
grandinata di fuoco e aprire l'armatura di chi stava sparando con un
fendente di spada a catena. Vidi assaltatori gettarsi solo contro i
propri pugni contro spettrocustodi. Vidi lo stesso Azaziel staccare
le braccia alla loro veggente, e pestare la testa ad alcune altre
femmine aliene.
Il sangue ci oscurava, e il baratro
era terribile, mentre si apriva. Poi non ricordo nulla, perché
anch'io caddi in quell'oscurità.
Del risveglio.
Ci risvegliammo dannati. Alcuni di
noi, dopo un indefinito tempo di oblio dei sensi, recuperarono la
ragione. E altri... non la recuperarono. Mi guardai attorno,
scuotendo la testa confusa. Avevamo vinto, questo era innegabile.
Avevamo avuto delle perdite, come di consueto. Ma perché mai alcuni
confratelli mancavano? Dove erano finiti.
Risuonò un esplosione nell'area. Con
alcuni confratelli rinsaviti mi diressi verso la provenienza. Ed
ecco, l'arcamondo ancorato, era in fiamme. Per causa nostra.
Lo xeno è un male che deve essere
appurato, ma in determinate modalità. Quella era solo selvaggia
carneficina. Alcuni dei nostri, coloro che non si erano ripresi dalla
rabbia nera, stavano uccidendo tutti gli abitanti di Elawinie. Un
mattatoio di corpi del' enigmatica razza. Venivano fatti a pezzi,
senza remore né pietà. Vidi maschi aperti a metà, femmine
sbattute contro le mura, cuccioli xeno pestati come rifiuti. Qualcosa
dentro di me mi disse che era sbagliato, che bisognava intervenire.
Gli eldar non erano gli unici ad
essere usciti dalla tempesta. Anche un altra nave, con guerrieri di
vetuste armature, somiglianti alle nostre. Ma dannate. Una legione
traditrice.
E non ci attaccò, troppo interessata
a osservare la violenza che stava consumandosi su Stigea. Ed il resto
del nostro capitolo era troppo debole per affrontarli. Così, assieme
a Masariel, compimmo una terribile scelta, ma l'unica che si poteva
fare.
Riunimmo i sopravvissuti il cui cuore
era ancora retto, anche se alcuni di essi avevano ceduto durante la
battaglia alla sete rossa. Con essi, fuggimmo.
Della caccia.
Ci rincongiungemmo con le ultime due
compagnie, in istanza a Lete. Eravamo appena trecento uomini, un paio
di dreadnought e una manciata di servitori. Tutti stipati nella
“Parola di Giustizia.” Fuggimmo? No, ripiegammo. Ma forse sarebbe
stato meglio la prima scelta. Perché ci raggiunsero.
Cominciammo la battaglia schierati
nella capitale di quel mondo commerciale. Eravamo decisi a vendere
cara la pelle, sopra quelle bestie immonde. Il nostro cuore non
vacillò, nemmeno quando i portelloni delle loro empie navi si
aprirono; e i primi a uscire furono i nostri vecchi confratelli, ora
ridotti a sanguinarie belve.
Combattemmo stanchi e con mezzi
inappropriati, sulla superficie di Lete. Contro i nostri fratelli, i
loro visi oramai irriconoscibili, dilatati dalla rabbia. Io stesso
decollai la testa di uno sbavante immondo che una volta era
confratello Azaziel.
Ma saremmo stati sconfitti. Il loro
condottiero era stato premiato, innalzato dagli dei oscuri a loro
simile, principe e demone. La sua lama era falce fra i nostri
giovani. Il suo belluino urlo il latrato dei cani in caccia.
Dell'Angelo Vendicatore.
Ed eccolo, discendere dal cielo,
l'Angelo Vendicatore. Un apparizione? No, un reale guerriero, avvolto
in una dorata armatura, brandendo un argenteo spadone. Prima fu solo
un lampo, che rallentò all'avvicinarsi al campo di battaglia.
Atterrò , ripiegando le ali con gesti
eleganti, i suoi pazzi aggraziati verso il nemico. Ci invitava a
seguirlo, a combattere ancora una volta contro l'arcinemico. E la sua
voce era come fuoco per le nostre vene, ispirazione e sostegno. Non
solo: non volevamo che i diabolici avversari, con la sozzura delle
loro anime, sporcassero la fulgida armatura del nostro condottiero,
ci cingemmo come sua guardia del corpo, accompagnandolo nel cuore
dello schieramento nemico. I requiem ruggivano feroci, castigando
l'empio.
Fino a che i due si fronteggiarono. Il
demone era alto il doppio, e le sue ali spalancate oscuravano il
cielo. Rideva, tronfio d'orgoglio, e con lui rideva la sua armata.
Il volto dell'Angelo però si
contrasse, la sua maschera mutò rapida, la rabbia e lo sdegno la
segnarono. Con questo aspetto si gettò contro il nemico che, preso
alla sprovvista, parò malamente il colpo, indietreggiando. Si
riprese immediatamente, menando fendenti che avrebbero sradicato un
albero. Colpi che il nostro protettore si limitò a parare o schivare
con grazia. Fino a che non trovò un pertugio nella difesa
avversaria, rapida guizzò la lama come fulmine, sgozzando il demone
come una capra a cui somigliava. Sconfitti, i suoi seguaci fuggirono,
riversandosi nel caos più totale, sotto il nostro fuoco vendicatore.
E rapido, come era giunto, l'Angelo si
levò in volo, scomparendo nel firmamento.
Ancora una volta, gli Angeli Funerei
sopravvissero. E vinsero.