Russia Pussy Riot: «Abbiamo vinto»
Condannate a due anni di carcere per aver cantato contro l'ex premier in una chiesa, le donne della band hanno ottenuto solidarietà dentro e fuori i confini nazionali
MOSCA Due anni di prigione, una dura condanna per Masha, Katya e Nadia, le tre Pussy Riot autrici a febbraio di un sacrilego blitz nella Cattedrale del Cristo Salvatore a Mosca, in cui avevano chiesto alla Vergine Maria di «cacciare via» l'allora premier Vladimir Putin, diventato di nuovo presidente della Russia poche settimane dopo.
Colpevoli di «teppismo motivato da odio religioso», dovranno scontare la pena in una delle galere russe che non brillano certo per comfort. La giudice Marina Sirova le ha condannate a un anno in meno dei tre richiesti dall'accusa: Nadia Tolokonnikova, 22 anni, Maria Aliokhina, 24, ed Ekaterina Samutsevich, 30 da pochi giorni, resteranno in carcere per circa un anno e mezzo, dato che la pena viene calcolata dal momento dell'arresto, il 4 marzo scorso. Appena terminata la lettura del verdetto, fuori dal Tribunale Khamovniki assediato da centinaia di giornalisti da tutto il mondo, sostenitori e detrattori della band punk femminista, è esploso un boato di protesta: «Fascisti!», «Vergogna!» e poi «Brave, brave, libertà!» e applausi al passaggio del cellulare con a bordo il trio. Cinquanta i fermi.
Soddisfatti i militanti nazionalisti. Torvi i volti all'uscita dall'aula di Alexei Navalny, il blogger più noto dell'opposizione russa, preoccupati i familiari presenti, afflitte le giovani imputate tranne la leader Nadia, solita fierezza e aria di sfida in volto, che in mattinata aveva scritto ai sostenitori: «Abbiamo vinto comunque». Battaglieri gli avvocati, che hanno promesso ricorso immediato, se necessario anche alla Corte UE di Strasburgo: il legale Mark Feigin ha parlato di un «verdetto annunciato», giudicandolo «una decisione esclusiva di Putin».
Intanto numerose prese di posizione solidali con le tre condannate sono giunte non solo da star della musica, ma anche dai Governi occidentali, la cancelliera tedesca Angela Merkel in testa. Da New York a Parigi, in centinaia sono scesi in piazza per chiedere la liberazione della band russa, mentre ieri pomeriggio, una volta emessa la sentenza, anche UE e USA hanno preso le distanze, con la Merkel in prima fila: per la cancelliera, quello di Mosca è un giudizio che va contro i valori europei.
«Con il ritorno di Putin alla presidenza gli arresti per motivi politici sono esplosi»
Sulla condanna delle tre ragazze della band irriverente Pussy Riot, abbiamo chiesto un parere alla giornalista russa Oksana Chelysheva che da anni si batte per la difesa dei diritti umani nella Federazione russa, ricevendo tra l'altro un premio giornalistico da Amnesty International per il suo impegno in difesa degli oppressi.
Da più parti in Occidente si è definita eccessiva la durezza della giustizia russa e di Putin nei confronti delle Pussy Riot. Come valuta questo processo?
«L'origine della durezza con cui sono state giudicate le tre ragazze va principalmente ricercata nell'atteggiamento personale del presidente russo Vladimir Putin. La vera ragione dell'incarcerazione delle Pussy Riot va ricercata nella loro azione di protesta inscenata lo scorso mese di gennaio nella Piazza Rossa. Le canzoni da loro cantate durante quella esibizione rappresentavano delle critiche aperte nei confronti di Putin, ridicolizzando tra l'altro il suo machismo. In quell'occasione le tre ragazze erano riuscite a fuggire senza subire alcuna conseguenza. Nel caso di una punizione immediata, sarebbe apparso a tutti troppo ovvio che i rancori di Putin si erano abbattuti su di loro. Ma poi, con l'esibizione di protesta delle Pussy Riot in una chiesa ortodossa, il regime ha preso la palla al balzo per denunciare le ragazze e mostrarle agli occhi dell'opinione pubblica russa nella peggiore luce possibile. Inoltre, tale processo ha permesso a Putin di agire in sintonia con i suoi vassalli della Chiesa ortodossa russa».
Il Cremlino teme molto le proteste nei suoi confronti?
«Il regime si sente molto insicuro dopo gli eventi del dicembre 2011, quando centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro le elezioni truccate della Duma».
Con il ritorno di Putin alla presidenza, la libertà di espressione nel vostro Paese ha subito gravi restrizioni?
«Non solo la libertà di espressione è minacciata nel nostro Paese. In effetti dal momento in cui Putin è tornato al Cremlino nel maggio 2012, il numero di persone arrestate con accuse di carattere politico è aumentato drasticamente. Tutta una serie di leggi appena fatte approvare da Putin annullano in realtà molti articoli della Costituzione russa, compresi quelli che garantiscono il diritto di riunione e il diritto alla libertà di espressione».
In Occidente è da tempo che non si sente più parlare della Cecenia. Significa che la situazione si è stabilizzata?
«Se sui media non appaiono più informazioni sulla Cecenia è perché questo territorio non è più di moda tra i giornalisti. L'unica cosa che si è stabilizzata in Cecenia è la repressione del regime dittatoriale di Ramzan Kadyrov, appoggiato in tutto e per tutto da Mosca».
Fonte di entrambi gli articoli: Corriere del Ticino, 18.08.2012