Prepariamoci a un viaggio molto particolare, di quelli che non arricchiscono solo la nostra collezione di souvenir e diapositive, ma sono in grado di regalarci nuovi orizzonti mentali.
Buttiamo in valigia leggi della fisica, storia, teologia e tutto quanto concorre a irrobustire i pilastri dell’universo. Lavoro lungo e noioso, tuttavia indispensabile per una partenza intelligente.
Non appena i bagagli saranno pronti, gettiamoli senza rimpianti nel più fondo e nero sottoscala o, in mancanza di meglio, dimentichiamoli allegramente nel deposito di qualche sperduta stazioncina ferroviaria.
Alleggeriti dalle “discipline fondamentali”, possiamo affrontare ciò che resta: il nulla.
Vuoto e tenebra non hanno valore assoluto: spogliati di preconcetti e certezze quotidiane possiamo contemplare Grande A’Tuin, l’immensa tartaruga che avanza negli spazi siderali. Sopra il carapace titanico, quattro giganteschi elefanti sorreggono un vasto piatto di vallate, montagne, fiumi e città.
E’ il Mondo Disco, frutto prelibato della complessa, anticonformista e pazza visione creativa di Terry Pratchett.Stelle Cadenti appartiene a questo stupendo e irriverente ciclo, sotto molti aspetti ne è un compendio di rara incisività.
Se ammettiamo l’esistenza di un luogo simile, possiamo anche accettare il fatto che sia interessato da un’onda di irresistibili cambiamenti. Gli Alchimisti, infatti, dopo mille tentativi falliti — e altrettante esplosioni pirotecniche — sono finalmente giunti alla scoperta dell’octo-celluloide. Da questa mirabolante sostanza alla realizzazione del cinematografo il passo è brevissimo.
Pagina dopo pagina restiamo intrappolati nella storia della Settima Arte, dalla nascita in sordina, all’affermazione trionfale nel cuore e nella mente delle grandi masse. La natura del fenomeno è come affetta da una sorta di comica mutazione, stravolta da un’ottica totalmente ribaltata e ingannevole. Ogni cosa è vista da angolazioni inusuali: ciò che è familiare viene riconosciuto solo dopo descrizioni fuorvianti, assumendo toni farseschi e goliardici. L’essenza dello spasso risiede proprio nel nascondere — come in un complicato e abile gioco di prestigio — la realtà dietro schermi di illusione e canzonatura.
Disorientamento, volontà assopita se non proprio brutalmente messa da parte: sono queste le insidie liberate nel mondo dalla scoperta del cinema, una sottile pestilenza di idee balzane che corrompe con suadenti richiami.
Al morbo dell’ambizione non resiste neppure Victor Tugelbend, svogliato e pigro studente di magia, improvvisamente richiamato in quel di Holy Wood (ricorda qualcosa?), stordito da pensieri che sembrano non appartenergli. Bisogni e brame imposte dall’esterno, insetti molesti che scavano gallerie nell’animo di umani, nani, troll e animali. Così, accanto a Victor, troviamo astuti venditori ambulanti che si reinventano scaltri produttori, ma anche gatti, topi e conigli fin troppo simili ai personaggi dei cartoon Warner. Se il giovane protagonista assiste stupefatto alla rarefazione della propria volontà, figure emblematiche come Gaspode, il cane parlante, assumono il ruolo di scontrosa coscienza collettiva in un ribollire di pazzia generalizzata.
Ciò che colpisce è l’atmosfera presa di peso dagli albori dell’industria cinematografica, i primi vagiti di un mondo fondato sulla simulazione parossistica. E’ la nuova frontiera creativa che impara faticosamente a trovare espedienti, trucchi ed escamotage di ogni sorta per fabbricare sogni. Dalle produzioni raffazzonate e nostalgiche in stile Lumiere, all’alba delle major.
La lotta serrata per conquistare pubblico, stupirlo, scioccarlo, ricavare denaro dalla sete popolare di visioni che annullino la realtà. Ridendo delle trovate pratchettiane, godendo nello scovare riferimenti, cenni e dotti richiami nascosti tra le gag frenetiche, capiremo i meccanismi che portano alla creazione di un kolossal. Che siano telecamere o scatole piene di demonietti disegnatori, l’ossatura del set resta immutata. Attori che recitano come fossero posseduti, effetti speciali artigianali e riprese addomesticate, un movimento tra le righe che ti obbliga a riflettere.
Quante volte le nostre azioni sembrano indotte da forze estranee? E’ così raro muoversi nel mondo senza avere la più pallida idea di cosa stiamo facendo? Victor, Gaspode e le sue meditazioni canine, troll dimentichi della natura selvaggia e ansiosi di rifarsi il granitico naso. Siamo certi di non condividerne la frastornante danza in uno scenario di cui non capiamo nulla?
A Holy Wood la cosa importante è essere importanti. Possiamo ridere e viaggiare senza il bagaglio dei preconcetti, ma alla fine dovremo convenire che sì, noi siamo gli attori inconsapevoli e stralunati di questo libro, la nostra mente apre le porte al canto delle sirene. Ciò che pensiamo è davvero nostro? Quanto di noi deriva dalle idee di altri, dalla finzione elevata ad arte, dalla ricerca patologica del successo e dell’incasso?
Sono domande in fila indiana, ordinate e ossessive in nervosa attesa di risposte che appaiono ovvie.
Resta in bocca l’amaro lieve che si assapora quando sbirci dietro le quinte. Gettare un’occhiata voyeuristica all’impalcatura che regge i fondali, alle basse motivazioni che caratterizzano trame e vicende, toglie la sospensione della credulità.
Siamo partiti per un mondo fantasy e ci accorgiamo, forse troppo tardi, di muoverci nella strada sotto casa, tra i mille richiami che bombardano la nostra consapevolezza giorno dopo giorno.
Quando iniziano le riprese di un’allucinata versione di Via col Vento, il ritmo del romanzo subisce una drastica accelerazione. Grandi folle richiamate dal nuovo, straordinario spettacolo, finiscono per diventare inconsapevoli vittime di entità provenienti da Dimensioni Sotterranee. I sogni spacciati da Holy Wood scardinano la realtà, consentendo a creature orribili di penetrare nel mondo ignaro, forse per cibarsi di pensieri, idee, vite interrotte dalla contemplazione di illusioni sullo schermo.
Solo un antico Guardiano, da millenni votato alla difesa del varco tra gli universi, potrà impedire la rovina finale. Naturalmente questo deus ex machina ha le sembianze di Oscar, la dorata statuetta orgoglio e speranza dei divi. Il ciclo si chiude: l’apice del successo di celluloide ferma e ricaccia nell’oscurità le visioni diventate concrete prima che possano rimpiazzare la materia tangibile.
La pellicola si spezza, le sale cinematografiche, travolte da una magia inaspettata, cessano d’essere luoghi arcani come templi maledetti e i burattini della città della finzione, affrancati dalla dolce ipnosi, riacquistano le vite di sempre.
Veloci citazioni dal Mercante di Venezia, sprazzi alla Stanlio e Ollio, persino la famosa scena di King Kong sul grattacielo invertita in modo esilarante. Siamo in sala a sgranocchiare pop corn, tra file di spettatori rapiti ed estasiati, mentre una forza magica inarrestabile ci ruba tempo, pensieri, bisogni, dandoci l’illusione di trovare ogni cosa nel sorriso del divo.
Quanto i titoli di coda strappano il velo dai nostri occhi, cosa resta? Ci sono rovine da visitare, ricordi da cullare, oppure solo l’ansia di sognare ancora?
La necessità impellente di chiudere nuovamente gli occhi di fronte alla realtà?
Sì, è molto meglio rimandare il risveglio a un altro momento.
E’ tempo di cinema.