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 Dietro l'amicizia tra il Cavaliere e il Rais

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Maresciallo_Helbrecht
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MessaggioTitolo: Dietro l'amicizia tra il Cavaliere e il Rais   Dietro l'amicizia tra il Cavaliere e il Rais Icon_minitimeVen Apr 01, 2011 1:15 pm

Dietro l'amicizia tra il Cavaliere e il Rais
Un'analisi dei rapporti privilegiati tra Tripoli e Roma alla luce della guerra in atto



Non è ancora chiaro come si con­cluderà la guerra civile in atto in Libia. È però chiara l'ambiguità con cui alcuni Paesi occidentali hanno trattato con il regime di Gheddafi. Ha fatto tra l'altro mol­to discutere l'ostentata amicizia tra il Rais libico ed il premier ita­liano Berlusconi. Su tale tema è uscito in questi giorni il libro del giornalista Giampiero Gramaglia (dall'ottobre dello scor­so anno Gramaglia dirige a Bruxelles l'Agence Europe, agenzia che dal 1953 si occupa dell'informazione sull'integra­zione economica e politica europea): «Complici. La relazione pericolo­sa tra l'Italia e il regime di Ghed­dafi», pubblicato da Editori riuni­ti. Abbiamo sentito l'autore del li­bro per una valutazione sui retro­scena dell'attuale crisi libica.


■ Quella del premier italiano Berlusco­ni con Gheddafi può essere definita un'amicizia pericolosa. Non è però la prima volta che politici occidentali si tappano il naso e stringono la mano a leader poco raccomandabili per inte­resse economico.
«È verissimo che spesso per Realpolitik o semplicemente per interessi economici, ed in particolare nell'area del Nord Africa per interessi energetici, i Paesi occiden­tali in misura maggiore o minore, a secon­da delle relazioni bilaterali, si tappano il naso e fanno finta di non vedere quello che c'è dietro ai regimi con cui hanno stret­ti rapporti. Del resto tutto quello che sta succedendo dall'inizio dell'anno in Nord Africa ne è la prova. La Francia non può aver scoperto da un giorno all'altro che Ben Ali non è un campione di democra­zia, così come gli Stati Uniti non posso­no aver scoperto da un giorno all'altro che Mubarak non è proprio un difensore dei diritti dell'uomo nel suo Paese. Eppure questo accade. Quello che secondo me ha contrassegnato il rapporto dell'Italia con la Libia, è che esso è andato al di là di questi eventi di Realpolitik o di commi­stione tra interessi economici e rapporti tra Paesi. Nel caso italiano vi è stata da una parte la personalizzazione del rapporto, che è un po' nello stile e nello spirito del presidente del Consiglio Berlusconi, e dal­l'altra vi è stata una certa teatralizzazio­ne di questa amicizia tra Roma e Tripoli con gesti, come il bacio dell'anello di Gheddafi da parte di Berlusconi, e segna­li di accoglienza ed intesa che forse non era necessario usare. Non c'è bisogno di far piantare la tenda a Gheddafi a Villa Panfili o di consentirgli di tenere concio­ne con centinaia di giovani donne italia­ne per garantire la bontà delle relazioni economiche tra l'Italia e la Libia; c'erano già abbastanza elementi di interesse. Quindi questo ha fatto sì che questa ami­cizia pericolosa, come lei l'ha definita, fos­se poi difficile da gestire nelle sue conse­guenze quando si è arrivati a un momen­to di crisi che l'Italia non aveva previsto. Va del resto detto che neanche gli altri Pae­si occidentali avevano previsto quanto successo in Tunisia, Egitto e negli altri Pae­si della regione».
Ma cosa si nasconde dietro al fatto che a un certo punto, quando la crisi libica ave­va già raggiunto livelli allarmanti, Berlu­sconi si sia ancora sbilanciato a dire ‘mi dispiace per Gheddafi'? È la testimonian­za di una sincera amicizia con il Rais li­bico o di una stupidità politica?
«Io non penso che una persona come Ber­lusconi che, nel bene o nel male è comun­que al vertice di un Paese come l'Italia, non certo trascurabile sulla scena europea, pos­sa essere ingenuo o improvvido fino a que­sto punto. Però è chiaro che l'atteggiamen­to italiano nei confronti della Libia, e in particolare le sortite del presidente del Consiglio, ha mostrato un alternanza di alti e bassi. L'Italia è stato forse il Paese che per ultimo ha mollato Gheddafi. Ancora a fine febbraio, nei giorni in cui sembra­va che la caduta del regime libico fosse im­minente, abbiamo avuto la battuta del pre­sidente del Consiglio: ‘Non ho chiamato Gheddafi per non disturbarlo', e poi, quan­do già l'Italia aveva sottoscritto le dichia­razioni europee nelle quali si diceva che Gheddafi non poteva più essere consi­derato un interlocutore, e che i nuovi in­terlocutori erano i suoi antagonisti, vi è sta­ta la sortita del dispiacere per quanto sta­va accadendo a Gheddafi. Certo ci può es­sere un dispiacere sul piano personale, pe­rò l'aver testimoniato con enfasi eccessi­va l'amicizia per un personaggio comun­que discutibile diventa poi un handicap. Non dimentichiamoci che Gheddafi è un uomo che, a parte la gestione del potere all'interno del suo Paese di cui oggettiva­mente sappiamo poco (è solo noto che i libici hanno una ricchezza pro capite più elevata degli altri popoli della regione), è anche l'uomo che sta dietro vari attentati internazionali. È l'uomo che sta dietro la strage di Lockerbie».
A proposito di Lockerbie: nell'agosto del 2009 le autorità scozzesi hanno autoriz­zato, per ragioni umanitarie, la scarce­razione e il rimpatrio di Abdel Basset al-Megrahi, il libico condannato per l'atten­tato del 1988 costato la vita a 270 perso­ne. In quell'occasione il governo britan­nico fu accusato di aver scarcerato il ter­rorista libico per ottenere da Tripoli con­cessioni per lo sfruttamento di giacimen­ti petroliferi.
«Certo, lo stesso premier britannico, al­l'epoca era Gordon Brown, alla fine finì per ammettere che c'era stato un baratto tra interessi economici ed una forzatura del­la giustizia. All'inizio, come si ricorderà, i britannici si nascosero dietro a clausole e procedure della giustizia scozzese che ave­va concesso la scarcerazione per motivi umanitari (venne presentato come mala­to terminale di cancro n.d.r.). Ma poi Brown ammise che vi era stata un'accondiscen­denza nei confronti della Libia per garan­tire interessi economici britannici. Cer­to, si tratta di un atteggiamento riprovevo­le, ma il fatto della scarcerazione del ter­rorista avrebbe ancora potuto essere man­dato giù se il terrorista libico non fosse poi stato accolto a Tripoli come un eroe. Era­vamo nel 2009 e l'Italia aveva già firmato il trattato di amicizia con la Libia. Secondo me sono questi fatti che devono far riflet­tere sul modo di rapportarsi personalmen­te con Gheddafi. Il leader libico non è so­lo l'uomo che ha concepito, ordinato, au­torizzato Lockerbie, ma è anche la per­sona che ha ricevuto Abdel Basset al-Me­grahi, il cittadino libico riconosciuto co­me autore di quell'attentato, come un eroe al suo ritorno in patria».
Quindi Berlusconi è in buona compa­gnia, a livello di vertici politici interna­zionali, nel frequentare cattive compa­gnie per puro interesse economico.
«Per questo tipo di comportamenti direi proprio di sì, anche se poi Berlusconi ha aggiunto un elemento personale che ai tempi Gordon Brown si era guardato be­ne dal tenere».
Gli investimenti della Libia in Italia sono sostanziosi, così come gli interessi italia­ni in Libia. Ma questo non è solo il frutto dell'amicizia tra Berlusconi e Gheddafi.
«Le buone relazioni economiche energe­tiche e finanziarie, al di là dei momenti di tensione che possono esserci stati tra i due Paesi, sono praticamente una costante del­la politica estera italiana in Libia. L'ENI è in Libia dagli anni Cinquanta. La sua po­sizione di forza in questo Paese del Nord Africa non mi sembra intaccata da quel­lo che sta accadendo perché ci sono state dichiarazioni positive nei confronti del­l'ENI da parte del regime ma anche da par­te degli insorti. È vero che Berlusconi in tempi recenti ha testimoniato a Ghedda­fi un'amicizia sopra le righe, ma è anche vero che il Rais libico ebbe, mi pare nel 2005 o 2006, parole di grande elogio per il pre­decessore di Berlusconi alla guida del go­verno, ossia Romano Prodi, che era stato anche alla guida della Commissione eu­ropea. E se vogliamo andare indietro nel tempo, va ricordato che nel 1985 quando gli Stati Uniti bombardarono Tripoli per ritorsione nei confronti della Libia dopo un attentato a Berlino, attribuito ad agen­ti libici, nel quale era morto un marine, l'Italia venne informata all'ultimo momen­to per evitare che Roma potesse avvertire i libici. Insomma le buone relazioni tra Tri­poli e Roma, intessute da rapporti di affa­ri, sono una costante nel tempo. Certo, la firma del trattato di amicizia, l'intensità delle relazioni personali, le grandi missio­ni diplomatiche ma anche di affari, con centinaia di esponenti della Confindustria italiana al seguito delle missioni in Libia, negli ultimi due anni hanno incremen­tato le relazioni tra i due Paesi. Le cito una cifra che potrebbe essere imprecisa; tra il 2009 e la fine del 2010 le presenze di im­prese italiane in Libia sono salite da un po' meno di 100 a 113; quindi con un aumen­to di circa del 20 per cento nel giro di un anno».
Il Comitato nazionale transitorio marte­dì scorso ha promesso che una volta al potere rispetterà gli accordi siglati tra Ro­ma e Tripoli e le concessioni all'ENI. Si tratta di un modo per assicurarsi il soste­gno di Roma in questa delicata fase?
«Secondo me in questo momento non possono spaventare i loro interlocutori che sono anche potenziali sostenitori. Quin­di senz'altro di fronte ad un atteggiamen­to di Roma che ora non è loro ostile, non rispondono creando timori o allarme a Roma. Del resto il petrolio dovranno con­tinuare a venderlo, i contratti esistono e sono contratti tra uno Stato e un'impresa; non tra un regime e un'impresa. Per cui anche legalmente possono continuare ad avere un loro valore. Poi vedremo, una vol­ta che vi sarà una nuova Libia come in­terlocutore, scopriremo che qualcosa ci costerà più caro di quello che ci è costato finora. Magari avremo una sovrattassa Gheddafi da pagare su qualche fronte, o magari saremo talmente abili nel ricucire o nello stabilire nuove relazioni che ci fa­remo perdonare anche questi incidenti di percorso. Comunque in questo momen­to mi sembra che le dichiarazioni che fan­no i leader degli insorti servano ad evita­re che vi sia allarme, tensione od ostilità nei loro confronti».
Vi è chi sostiene che l'appoggio della co­munità internazionale alla rivolta libi­ca è dettato solo da interessi economi­ci. Lei come la vede?
«Direi che ci sono senz'altro dei motivi eco­nomici. Il petrolio e il gas libico possono interessare a tanti Paesi. Però se c'è un ele­mento di ipocrisia e di calcolo nell'inter­vento in Libia esso sta nel fatto che la Libia è purtroppo uno dei tanti Paesi di questo mondo dove i diritti dell'uomo sono cal­pestati e la democrazia non esiste. Allora è più facile intervenire in Libia oggi che in­tervenire in altri Paesi dove pure la situa­zione interna è analoga. Vi è quindi que­sto elemento di ipocrisia e di calcolo, di la­varsi un po' la coscienza con un interven­to che non pare comportare rischi di esten­sione del conflitto, di esportazione del con­flitto; anche se qualche rischio di terrori­smo di Stato ci può essere, visti i preceden­ti di terrorismo di Stato condotto dalla Li­bia. Però è senz'altro meno rischioso un intervento armato in Libia che altrove».
Eppure in passato Gheddafi era ritenu­to ben più pericoloso dalla comunità in­ternazionale.
«A tale proposito va ricordato un elemen­to di responsabilità internazionale nei con­fronti della Libia che ci riporta indietro nel tempo per una decina d'anni. Una respon­sabilità che ricade soprattutto su Stati Uni­ti e Gran Bretagna. Si tratta dello sdogana­mento, ottenuto con un piatto di lentic­chie, di Gheddafi da pària messo ai mar­gini della comunità internazionale, accu­sato di collusione col terrorismo, poi pro­vata nell'aula di un tribunale nel processo per la strage di Lockerbie, ad alleato nella guerra contro il terrorismo (dopo gli atten­tati dell'11 settembre 2001 n.d.r.). E que­sto semplicemente perché Gheddafi si mo­strò più furbo di Saddam Hussein dichia­rando di rinunciare a programmi nuclea­ri e a programmi di sviluppo di armi di di­struzione di massa. E in cambio di que­sto impegno Gheddafi ottenne da Bush e Blair e dai loro alleati, tra cui figurava an­che Berlusconi, lo sdoganamento e la riam­missione nella comunità internazionale».

Fonte: Corriere del Ticino, 1.4.2011
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MessaggioTitolo: Re: Dietro l'amicizia tra il Cavaliere e il Rais   Dietro l'amicizia tra il Cavaliere e il Rais Icon_minitimeVen Apr 01, 2011 1:30 pm

Evviva...
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