Libia: «Gli uomini del rais s'arrendono»
Ieri in tarda serata i ribelli hanno annunciato la consegna delle armi della guardia presidenziale e l'arresto del figlio del colonnello Saif Al Islam - Festeggiamenti sarebbero già in corso a Tripoli
TRIPOLI L'Operazione Sirena, scattato nella notte tra sabato e domenica per l'assalto finale degli insorti a Tripoli e al regime di Muammar Gheddafi pare essere giunta al suo momento cruciale.
Ieri in tarda serata Al Jazira riferiva infatti che i ribelli erano arrivati nel centro di Tripoli, sulla grande Piazza Verde festeggiati dagli abitanti della città, e pochi minuti dopo comunicava che la Guardia presidenziale del rais si era arresa e aveva consegnato le armi ai ribelli. Sempre nel giro di qualche momento è poi giunta l'informazione secondo la quale il figlio di Gheddafi, Saif al Islam era stato catturato dalle forze ribelli. Stessa sorte anche per il primogenito Mohamed e il terzogenito del rais. Ieri notte Waheed Burshan, un portavoce del Consiglio di transizione libico ha affermato parlando con al Jazira, che le forze della rivoluzione controllavano «gran parte della capitale».
«Vogliamo i negoziati»
Un appello alla «sospensione delle operazioni su Tripoli» è stato lanciato da Ibrahim Mussa, il portavoce del governo libico, in una conferenza stampa a Tripoli. Il capo del Consiglio nazionale di transizione dei ribelli libici ha detto che gli insorti sono disposti a cessare il fuoco e le ostilità, a condizione che Gheddafi annunci la sua partenza. Lo sostiene la tv Al Arabiya.
Da sabato sera si combatte in diversi quartieri della capitale libica, mentre dal cielo le bombe della NATO piovono sul bunker di Bab al-Aziziya, il tradizionale rifugio del rais, che ieri era tornato a far sentire la sua voce in un messaggio audio trasmesso dalla Tv di Stato. «Non mi arrenderò mai. Temo che Tripoli brucerà», ha ammonito il Colonnello chiamando di nuovo i suoi a raccolta per difenderlo e, come aveva detto sabato in nottata, per «eliminare i ratti». A Bengasi invece regna l'ottimismo sull'imminente fine del Colonnello e dei suoi: «Tripoli cadrà da qui a domani», ha assicurato uno dei capi dei ribelli, Abdelhakim Belhaj. Ma non si nasconde il timore che il Colonnello possa osare veramente far bruciare la città, anche attraverso l'uso di ordigni banditi dal mondo civile, come le armi chimiche. «Gheddafi ha i giorni contati», ha commentato la Casa Bianca, mentre il presidente francese Nicolas Sarkozy ha chiesto al Colonnello di «evitare al suo popolo altre inutili sofferenze e a deporre le armi».
Dov'è il rais?
Sulla sorte di Gheddafi però continuano a rincorrersi voci: è in fuga ai confini dell'Algeria, si interrogano in proposito gli analisti, dove ancora avrebbe sostegno? O ha preso davvero un volo a Jerba, messo a disposizione da Hugo Chavez, per raggiungere il Venezuela, come pure si è detto in questi giorni? Il Consiglio nazionale transitorio (CNT) degli insorti vede infatti solo due possibilità: la fuga o la resa, e in tal caso, ha assicurato il presidente Mustafa Abdel Jalil, «sarà trattato come un prigioniero di guerra, secondo il diritto internazionale». Il portavoce del regime libico, Ibrahi Mussa, ha dichiarato in un discorso ripreso in diretta dalle tv, fra cui Sky, che nei combattimenti a Tripoli, solo nelle ultime 11 ore, da mezzogiorno di ieri, sono morte almeno 1.300 persone.
La difesa
Gli scontri sono cominciati sabato sera nella zona di Tajoura, sobborgo orientale di Tripoli, per poi spostarsi in altri quartieri, mentre la folla - secondo le testimonianze dei residenti - cominciava a scendere in strada per rivoltarsi contro il regime. La città - assicurava ancora ieri pomeriggio il governo - può contare su «migliaia di soldati professionisti e migliaia di volontari» pronti a difenderla. «Non sono solo patrioti - ha spiegato il portavoce, Mussa Ibrahim, in una conferenza stampa - ma gente che vuole difendere la propria casa e la propria famiglia». Ora è meno facile crederci.
La liberazione dei dissidenti
Per i ribelli - che temono anche l'uso di armi chimiche da parte di un Gheddafi con le spalle al muro - i rinforzi sono arrivati e stanno ancora arrivando da Zawiah (50 km a ovest di Tripoli), via mare da Misurata (200 km a est) e dalle Montagne occidentali di Nefusa. Nel corso della giornata di ieri gli insorti sono riusciti a prendere il controllo di una base militare alle porte di Tripoli, impadronendosi di armi, munizioni e veicoli. Centinaia di oppositori e detenuti sono stati liberati dalle prigioni di Maya e di Tajoura, tutti apparsi ai testimoni oculari in pessime condizioni di salute.
La sanguinosa battaglia di Tripoli ha anche impedito l'evacuazione di alcuni cittadini stranieri di diverse nazionalità che avrebbero dovuto lasciare ieri mattina la città a bordo di una nave maltese. «A causa dei combattimenti nel porto di Tripoli, il battello maltese MV Triva 1 non è riuscito a salpare ed è rientrato in rada», ha detto la portavoce del Ministero degli esteri polacco.
IL BUNKER DEL RAIS
■ TRIPOLI Situato alla periferia sud di Tripoli e collegato all'autostrada che arriva all'aeroporto internazionale della capitale, il complesso residenziale di Bab al-Aziziya, rifugio super-segreto del colonnello Muammar Gheddafi, è il bersaglio grosso cui in queste ore puntano l'offensiva dei ribelli e gli attacchi aerei della NATO.
■ A lungo considerato il simbolo della forza di Gheddafi, il complesso è una vera e propria cittadella che comprende installazioni militari, abitazioni e la residenza dello stesso colonnello e dei suoi familiari. Cosa ci sia nel cuore della residenza, però, rimane un mistero, anche se secondo i pochi che hanno potuto visitarlo l'area ospiterebbe dei bunker sotterranei.
■ Al centro del complesso, come si vede anche dalle fotografie satellitari, c'è il palazzo dove abitò Gheddafi fino al 1986, in parte distrutto durante l'attacco americano deciso il 15 aprile di quell'anno dal presidente americano Ronald Reagan, che accusava la Libia dell'attentato in una discoteca di Berlino Ovest in cui persero la vita due ragazze statunitensi. Durante il bombardamento USA, secondo quanto ha sempre detto il colonnello, morì la figlia adottiva del leader libico, Hanna.
■ Il vecchio edificio non è mai stato ristrutturato ed è stato ribattezzato «Casa della resistenza». Da qui spesso Gheddafi ha lanciato i suoi infuocati proclami. Davanti al palazzo è stato eretto anche un monumento, in ricordo dei fatti del 1986: un enorme pugno dorato che si chiude stritolando un aereo americano.
■ Non lontano da qui, in un'ampia area verde e alberata nella parte nord-occidentale del quartiere fortificato, Gheddafi ha piazzato la sua celebre tenda, anche se a quanto si sa il colonnello cambia spesso il luogo in cui dorme. A maggio, un edificio a circa 50 metri di distanza dalla tenda è stato quasi distrutto da un raid aereo della NATO.
■ Nella parte sud-orientale, invece, ci sono abitazioni, probabilmente utilizzate dai militari. «Le strade tra le basse case mi hanno ricordato un po' i campi dei rifugiati a Gaza», le descrive l'operatore di una troupe della BBC, che in maggio era stata autorizzata a visitare il complesso. Al di là di queste abitazioni, un muro segna l'ingresso nella parte più nascosta del complesso, presidiata da militari e dove probabilmente ha sede il bunker sotterraneo del Colonnello.
L'analisi: Verso un «successo catastrofico»?
Assume sempre più peso presso i ribelli la componente dei fondamentalisti islamici
Probabilmente quando i lettori leggeranno queste note molte valutazioni saranno già superate dai fatti, specie se troverà conferma l'ottimistica previsione dei ribelli libici che ieri sera hanno dichiarato di aspettarsi «la vittoria per questa notte», come ha affermato Aref Ali Nayad, rappresentante negli Emirati Arabi Uniti del Consiglio Nazionale Transitorio.
La difficoltà a verificare le notizie diffuse dalla propaganda del regime libico e da quella degli insorti rende impossibile disporre degli elementi necessari a valutare la situazione a Tripoli dove gli scontri sembrano farsi di ora in ora più duri.
Su una cosa le versioni dei due contendenti concordano: nella capitale libica si combatte e i morti sono alcune centinaia secondo gli insorti, 376 oltre a mille feriti per il governo di Tripoli.
Per la battaglia finale gli insorti hanno formalmente chiesto alla NATO di inviare ulteriori elicotteri d'assalto Apache, velivoli britannici che hanno contribuito non poco alla caduta di Zliten e prima ancora a cacciare le forze lealiste dai sobborghi di Misurata. Un reporter della France Press ha confermato che i ribelli che avanzano da ovest, dalle montagne occidentali di Nefussa, sono arrivati con un centinaio di veicoli a 12 chilometri da Tripoli dove gli scontri in atto in molti quartieri sembrano confermare lo scoppio di rivolte popolari. La notte di sabato alcune decine di ribelli erano penetrati in città via mare, come hanno ammesso fonti di Bengasi, ingaggiando battaglia con le truppe lealiste che secondo Al Jazeera ieri sera hanno iniziato a ritirarsi verso il compound del colonnello a Bab al-Aziziya, lasciando ai ribelli il controllo di gran parte della capitale.
Improbabile una controffensiva poiché l'unico baluardo lealista nei dintorni della capitale rimane Khoms, che si trova però a un centinaio di chilometri dalla sua periferia orientale.
Dopo le notizie sulla possibile fuga di Gheddafi e della sua famiglia in Venezuela, il raìs sembra invece intenzionato a combattere fino all'ultimo nel suo bunker. Un'opzione che sembra accomunarlo più ad Adolf Hitler che a Saddam Hussein, anche se non si può escludere che il Colonnello si sia trasferito nel sud del Paese, nella regione desertica del Fezzan, dove dispone di forze fedeli e rifugi sicuri.
Le ragioni del crollo
Due le ragioni del repentino crollo delle forze lealiste intorno a Tripoli. Le pesanti offensive aeree alleate e le crescenti capacità dei miliziani, appoggiati da consiglieri militari francesi e contractors britannici (pagati da Qatar ed Emirati Arabi Uniti) tra le cui fila emergono per capacità militari i combattenti islamisti. Veterani del Gruppo combattente islamico libico già legato ad Al Qaeda che inviò centinaia di uomini in Iraq.
Combattenti esperti rientrati in Libia dopo l'inizio della rivolta che hanno avuto un peso rilevante nei successi degli insorti degli ultimi giorni, soprattutto a Zawya, città liberata al grido di «Allah Akbar».
Paradossale che molti di questi miliziani abbiano combattuto statunitensi e alleati nel «triangolo sunnita» iracheno e oggi conquistino Tripoli grazie alle bombe della NATO. Il crescente peso degli estremisti islamici emerge anche dalla Dichiarazione costituzionale resa nota giovedì dal Consiglio nazionale di transizione che sancisce per la Libia un futuro di «Stato democratico e indipendente», nel quale «la sharia sarà la principale sorgente legislativa».
Un aspetto che sembra preoccupare, un po' tardivamente, anche l'Occidente come ha sottolineato il 17 agosto il Times citando fonti diplomatiche a Bengasi che ritengono la vittoria degli insorti «un successo catastrofico» perché l'opposizione a Gheddafi è dilaniata da faide tribali e non è pronta a governare la Libia.
Fonte degli articoli: Corriere del Ticino, 22.08.2011
Speriamo che il cammelliere folle sia davvero arrivato all a frutta...