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 Eternit, colpevoli

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Sephiroth
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MessaggioTitolo: Eternit, colpevoli   Eternit, colpevoli Icon_minitimeLun Feb 13, 2012 1:51 pm

16 di reclusione, pagamento delle spese processuali e interdizione dai pubblici uffici. E’ questo il contenuto della sentenza di primo grado del maxi processo Eternit, dove Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero di 64 anni, è stato condannato insieme al barone belga Louis de Cartier, 90 anni, per disastro ambientale doloso e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche.

Il dispositivo fa però una distinzione tra gli stabilimenti italiani, dichiarandoli colpevoli per quanto riguarda Casale Monferrato e Cavagnolo (Torino), mentre il reato sarebbe estinto per prescrizione per gli stabilimenti di Rubiera, in Emilia Romagna, e Bagnoli, in Campania. Il Presidente del Tribunale Giuseppe Casalbore ha poi elencato gli indennizzi a favore delle parti civili, che sono alcune migliaia.

Per i due, che sono stati alti dirigenti della multinazionale svizzera Eternit, l’accusa aveva chiesto una condanna a 20 anni di reclusione. Il processo è durato oltre due anni e si è articolato in 65 udienze. Ai dirigenti vengono contestate le morti di 2.100 persone e le malattie che hanno colpito altre 800 persone nelle zone degli stabilimenti di Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Le parti civili che si sono costituite in giudizi sono oltre seimila.

Per la procura di Torino gli imputati hanno “fornito e mantenuto in uso a privati ed enti pubblici materiali di amianto per la pavimentazione di strade, cortili, aie, o per la coibentazione di sottotetti di civile abitazione, determinando un’esposizione incontrollata, continuativa e a tutt’oggi perdurante, senza informare gli esposti circa la pericolosità dei materiali e per giunta – si legge nel capo d’accusa – inducendo un’esposizione di fanciulli e adolescenti anche durante le attività ludiche”. E, infine, il reato di disastro si sarebbe consumato anche nelle abitazioni dei lavoratori, proprio per aver omesso di organizzare al lavoro la pulizia degli indumenti, che gli operai portavano a casa, esponendo così familiari e conviventi all’amianto.

Hanno “omesso di adottare i provvedimenti tecnici, organizzativi, procedurali, igienici necessari per contenere l’esposizione all’amianto (come impianti di aspirazione localizzata, adeguata ventilazione dei locali o procedure di lavoro atte a evitare la manipolazione manuale delle sostanze e sistemi di pulizia degli indumenti in ambito industriale), di curare la fornitura e l’effettivo impiego di apparecchi di protezione, di sottoporre i lavoratori ad adeguato controllo sanitario, di informarsi e informare i lavoratori circa i rischi specifici derivanti dall’amianto e le misure per ovviare a tali rischi”.

La sentenza di Torino su Eternit interviene su quello che qualcuno ha definito ‘il processo del secolò, per l’impressionante quantità di vittime coinvolte: oltre 2.200 decessi dovuti all’amianto, 700 malati di asbestosi, oltre 6.000 costituzioni di parte civile e una platea di legali composta da 150 avvocati. L’epicentro della tragedia è stato proprio a Casale Monferrato che con i suoi 1.500 morti, tra lavoratori e cittadini, ha pagato il tributo più alto. E che purtroppo non si è ancora esaurito, visto che l’incubazione del mesotelioma può durare anche 30-40 anni. Ma Casale Monferrato non è l’unica realtà dove si muore di asbestosi, di mesotelioma o di tumore alla laringe per esposizione ad amianto. Secondo i dati Ispesl, complessivamente, in Italia, è possibile dimensionare il fenomeno dei decessi per malattie asbestocorrelate intorno ai 3.000 casi l’anno. E a morire non sono solo i lavoratori, ma anche le persone il cui unico torto è stato quello di abitare nelle vicinanza di un sito contaminato.

Questa mattina in aula, accanto al pool di pm che hanno sostenuto l’accusa (Raffaele Guariniello, Sara Panelli, Gianfranco Colace), c’era il procuratore capo di Torino, Gian Carlo Caselli. La maxi aula che ospita l’udienza ha una capienza di 250 posti ed era completamente piena. “Mi fa piacere l’attenzione per il processo – ha detto il giudice Giuseppe Casalbore, entrando in aula e rivolgendosi a fotografi e operatori tv – ma questa è un’aula di udienza, non un teatro”. Poi ha minacciato di allontanare tutti se non fosse calato il silenzio e ha intimato a un giornalista di togliersi il berretto.

La sentenza del processo Eternit di Torino è stata trasmessa in diretta streaming su Internet sul sito Internet della provincia di Torino, quello dell’associazione dei familiari e delle vittime dell’amianto (Afeva.it) e qui in inglese.


Dal FQ. In un certo senso è un sollievo, i miei nonni paterni sono di vicino Casale Monferrato, e lì all'impianto lavoravano tutti. Ci sono ancora una marea di amianto da bonificare, figurarsi che nella cascina dove ogni tanto andiamo ci sono ancora un paio di lastre all'aria aperta.
Ora ci manca solo il processo Mills, e sono contento !
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Maresciallo_Helbrecht
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MessaggioTitolo: Re: Eternit, colpevoli   Eternit, colpevoli Icon_minitimeLun Feb 13, 2012 1:55 pm

Ora bisogna vedere come andranno a finire i vari ricorsi...

Ad ogni modo, mi auguro vivamente che quei due esseri schifosi (Schmidheiny e de Cartier) paghino per tutto quello che hanno fatto. Questi sono da richiudere e buttare la chiave....
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Talaban
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MessaggioTitolo: Re: Eternit, colpevoli   Eternit, colpevoli Icon_minitimeLun Feb 13, 2012 2:01 pm

Ecco speriamo che però appunto poi coi vari ricorsi non finisca tutto in camporella..
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MessaggioTitolo: Re: Eternit, colpevoli   Eternit, colpevoli Icon_minitimeLun Feb 13, 2012 2:13 pm

Il problema è che De Cartioer ha i suoi 90 anni... anche gli dessero l'ergastolo non avrebbe quel che si merita. Magari per lui sarebbe forse meglio una arcimegasanzione pecuniaria.
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MessaggioTitolo: Re: Eternit, colpevoli   Eternit, colpevoli Icon_minitimeLun Feb 13, 2012 2:57 pm

Toh ! Ecco qui il sito http://www.stephanschmidheiny.org/ di uno dei due condannati ! Sentite un po':

My activities in the entrepreneurial and philanthropic fields were oriented to creating economic and social value. When I participated in the business world, I intended to create economic wealth. But, at the same time, I was interested in creating wealth for society, especially for the neediest, and also to safeguard the options for future generations as best I could. I do not see these objectives as incompatible or mutually exclusive.
All of these activities represent my personal values. Yet there is one core issue that supports all others: human dignity. Human dignity implies respect for the individual and a commitment toward satisfying material and spiritual needs, something only attainable by means of creating opportunities for everyone.
Thus, I believe that sustainable development is a viable option to revalue human dignity. In order to start this process of change, we need leaders with vision, and projects based on strong moral and ethical values. Therefore, I am committed to facilitating access to opportunities for those who have the drive, the initiative, and the capacity to motivate others to join in and coordinate efforts. I am conscious that in the long term this will benefit society as a whole, as well as myself, and that this objective is a worthwhile investment and worth working for on a daily basis.


In 1991, I was asked to participate as Chief Advisor for Business and Industry at the 1992 Earth Summit. On that occasion, I gathered 50 business leaders from around the world and we applied ourselves to the task of determining what the entrepreneur could do to evolve on the road to sustainable development. We came to the conclusion that efficiency was the common denominator of economic growth and environmental protection, which motivated, among other things, the use of the term “eco-efficiency”·
Basically, eco-efficiency means adding value to goods or services, using fewer natural resources, and producing less waste and contamination. The prefix “eco” refers to both “economy” and “ecology”.
Within the framework of deregulations and privatizations, the ethical dimension of business activity acquires an even more relevant value due to the fact that economic freedom entails greater levels of responsibility. Personally, I think the concept “eco-efficiency” takes in that ethical dimension, has inspired and led leaders from different spheres and sectors, and has promoted harmony between economic activities and natural ecosystems.
During the last decade, many companies have made money while reducing waste and environmental contamination. This proves that raising environmental standards does not necessarily mean reducing earnings. Nevertheless, and despite the fact that progress in this aspect has been important, I believe that our efforts must double in a world in which population and consumption are in constant growth.



La domanda è: il caro filantropo Bill Gates svizzero adesso scriverà sul sito che è stato condannato dalla giustizia italiana a 16 anni di galera per disastro ambientale continuato e altro per aver prodotto materiale cancerogeno in amianto senza alcuno standard di sicurezza, pur essendo perfettamente a conoscenza della sua pericolosità, e che intanto continua tranquillamente a produrlo in altri paesi quali Colombia, India e Thailandia ?
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Maresciallo_Helbrecht
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MessaggioTitolo: Re: Eternit, colpevoli   Eternit, colpevoli Icon_minitimeMar Feb 14, 2012 1:32 pm

Vi posto qui di seguito lo speciale che ho letto oggi sul giornale riguardante proprio il caso Eternit.





«Una sentenza esemplare che non ferma il disastro»
Il Tribunale di Torino ha inflitto 16 anni allo svizzero Stephan Schmidheiny e al belga Jean-Louis de Cartier – Le testimonianze dei parenti delle vittime


Dopo due anni e 66 udienze il pro­cesso Eternit si è concluso ieri a To­rino con la condanna in primo gra­do a 16 anni di reclusione e l’interdi­zione dai pubblici uffici del magna­te svizzero Stephan Schmidheiny e del barone belga Jean-Louis de Car­tier. I due ex vertici della multinazio­nale dell’amianto, accusati di disa­stro ambientale doloso e omissione volontaria delle cautele antinfortu­nistiche, sono stati condannati per il disastro negli stabilimenti di Casale Monferrato e Cavagnolo mentre i giu­dici hanno dichiarato di non dover­si procedere per quelli di Rubiera e Bagnoli perché i reati sono estinti.


❚❘❙ La lettura del dispositivo della sentenza è durata oltre tre ore, passate in un silenzio a tratti quasi irreale. Tanto c’è voluto al pre­sidente del Tribunale di Torino, Giuseppe Casalbore, per snocciolare un lunghissimo elenco di oltre 6400 parti civili. Ogni nome una vicenda di dolore, sofferenza, malattia, spesso una storia di morte legata all’amian­to. Una sorta di «Spoon River» moderna che Romana Blasotti Pavesi ha vissuto come uno stillicidio personale. Lei, 83 anni, è la presi­dentessa del comitato delle vittime di Casa­le e Cavagnolo. La sua vita è stata scandita periodicamente dalla sofferenza: l’asbesto­si, la malattia procurata dalle fibre di amian­to nei polmoni, le ha portato via nell’ordi­ne il marito, una sorella, un nipote, una fi­glia, una cugina. Eppure, durante la lettura della sentenza, è apparsa impassibile.
Alla vigilia aveva giurato a se stessa che avreb­be trovato le lacrime che da anni non le esco­no più, ma alla fine non ce l’ha fatta: «Quel­la lettura dei nomi infinita è stata molto sner­vante », ci dice al termine di una giornata che l’ha messa a dura prova. «Le lacrime però non sono arrivate. Prima o poi arriveranno perché ne ho bisogno. Forse è troppo tem­po che non piango, ma quando sarà il mo­mento mi lascerò andare a un lungo sfogo». La dignità della signora Blasotti Pavesi si in­crina solo un attimo, quando sente il no­me di uno dei due condannati, lo svizzero Stephan Schmidheiny. È lui il vero colpevo­le per la presidentessa dell’associazione del­le vittime «e non è una cattiva idea quella di poterlo incontrare un giorno. Lui avrebbe dovuto avere il coraggio di presentarsi, e se potessi mai rivolgergli la parola gli direi che non credo abbia mai capito quanto male ha fatto. Lui è l’autore del gesto criminale che ha causato tanti morti e se da una parte pro­va dispiacere nel perdere dei soldini, dall’al­tra non sa quanto male ha provocato a un’intera comunità».
Il primo pensiero della signora Blasotti, do­po la sentenza, è andato alla figlia Maria Ro­sa, morta insieme ad altri tre parenti che non avevano mai messo piede in uno stabilimen­to Eternit.
Chi invece ha passato vent’anni della sua vi­ta in quella fabbrica è Pietro Condello, che non si è mai perso un’udienza del proces­so e che anche ieri si è presentato indossan­do la sua tuta blu da operaio, come un tem­po. La storia di Condello è quella di uno dei tanti immigrati partiti dal sud Italia, Messi­na nello specifico, per cercare lavoro al nord. Oltre al lavoro, Condello ha incontrato la morte, vista negli occhi troppo spesso: «Nel mio reparto eravamo in trenta – racconta – ma siamo rimasti in vita solo in due. Lavo­ravamo un particolare amianto, pare mol­to pericoloso. Anche io sono malato, ho l’asbestosi e un’unica speranza, quella di morire il più tardi possibile ma il mio desti­no è segnato». Condello ha ricevuto 35.000 euro di risarcimento, «una cifra che non cam­bia certo la vita e non serve a curarsi. Mi ri­mane solo questa tuta blu che indosso; l’ho portata in tutte le 66 udienze del proces­so e mai la butterò».
Il signor Pietro è stato uno dei pochi che si è messo a piangere quando ha sentito la con­danna: «Erano lacrime di rabbia per tutti quelli che sono morti. Gli imputati sapeva­no dei rischi che ci facevano correre, ma loro hanno i soldi e non faranno nemme­no un giorno di carcere».
Elena Patrucco è una delle poche parenti delle vittime che non ha potuto andare a To­rino a bordo dei 16 pullman per seguire la lettura delle sentenza «ma sono rimasta in­collata al telefono – ci dice – per seguire pas­so passo ogni momento attraverso i raccon­ti dichic’era». Anche per lei i sentimenti so­no misti: c’è la gioia per un verdetto che per la prima volta dopo tanti anni dà una rispo­sta di giustizia e il dolore che riaffiora.
I genitori di Elena Patrucco avevano una pa­netteria a poche centinaia di metri dallo sta­bilimento di Casale e tra i loro clienti c’era­no molti dei lavoratori della Eternit: «Perso­ne – racconta – che inconsapevoli portava­no illoroveleno,lapolvered’amianto,all’in­terno del negozio, ogni giorno. Così mia mamma, Maria Pastorino, si è ammalata. La diagnosi fu svelata nel novembre 2001 e nel giro di un anno e mezzo mia madre è mor­ta. Molti dei clienti dei miei genitori, operai, sono morti. Ricordo ancora la reazione di mamma quando il medico pronunciò la sen­tenza di morte: non si è meravigliata, e que­sta è una cosa terribile. Questo è ciò che io non perdonerò mai alle persone condan­nate, il fatto che si sapesse. Ma la stessa ras­segnazione di mia mamma tocca tutti noi, io, mio marito. Tutti sappiamo che prima o poi ci può capitare la stessa sorte, e questo succederà per diversi anni a venire».
È relativamente soddisfatto Bruno Pesce, che esce stremato dal tribunale di Torino. Lui, come storico rappresentante della Ca­mera del lavoro di Casale Monferrato, co­nosce per filo e per segno questa vicenda che ha segnato un’intera comunità.«Sono contento per la condanna a 16 anni, certo – commenta a caldo – perché in questa sen­tenza è compreso tutto ciò che ci premeva: il disastro, il dolo, la permanenza del rea­to. Insomma è stato stabilito che nel perse­guire un’attività produttiva non si può met­tere in atto dei comportamenti che dan­neggiano la salute dei cittadini. È la prima volta che viene stabilito questo principio, per questo è una sentenza storica, anche se purtroppo il disastro provocato è anco­ra in corso».
Storica è certamente l’aggettivo che è risuo­nato più spesso per definire la condanna di Stephan Schimdheiny e del barone Jean-Louis de Cartier in qualità di proprietari del­lo stabilimento della Eternit di Casale. An­che il ministro alla salute italiano, Renato Balduzzi, ha scomodato questo aggettivo e lui questa vicenda la conosce bene perché come ha ribadito anche di recente «ho per­so diversi amici che sono morti a causa del­l’amianto ».




Le reazioni Già annunciato il ricorso Ecco le nuove mosse della Procura

❚ ❘ ❙ La sentenza del tribunale di Torino non mette la parola fine alla saga giudiziaria Eternit. Oltre al certo processo d’ap­pello (un portavoce ha infatti già annun­ciato il ricorso di Schmidheiny) altri pro­cedimenti si aggiungono a carico del mi­liardario svizzero. Il primo, battezzato «Eternit bis», dovreb­be riguardare le persone ammalatesi (cir­ca 180) dopo l’inizio delle udienze preli­minari dell’attuale processo, il 6 aprile 2009, e dunque escluse dal procedimen­to. Il secondo concerne gli emigrati ita­liani ammalatisi negli stabilimenti sviz­zeri di Eternit. Il Dipartimento federale di giustizia e polizia aveva autorizzato nell’ottobre 2007 la trasmissione alla Pro­cura di Torino dei dossier SUVA riguar­danti 196 operai delle fabbriche di Payer­ne (VD) e Niederurnen (GL). Nessun pro­cesso è invece previsto in Svizzera. Con una decisione resa nell’agosto 2008, il Tri­bunale federale (l'ultima istanza giuridica in Svizzera. NdMH) ha respinto definitiva­mente le denunce delle famiglie di due dipendenti di Eternit e di un abitante di Niederurnen, tutti e tre deceduti, perché secondo il diritto svizzero i reati sono ca­duti in prescrizione dopo dieci anni dal­l’inizio dell’esposizione alle sostanze tos­siche. La denuncia prendeva di mira tra gli altri i fratelli Thomas e Stephan Schmi­dheiny. La procura di Torino sta inoltre valutando la possibilità di contestare agli imputati un reato di tipo volontario, che potrebbe anche essere l’omicidio condo­lo eventuale, nell’inchiesta Eternit bis, che riguarda un migliaio di morti provocati dall’amianto lavorato a Casale Mon­ferrato e in altre sedi. In questa seconda inchiesta si intendono rintracciare le re­sponsabilità per ogni singolo caso di mor­te, mentre nel processo che si è chiuso ie­ri si procedeva per disastro ambientale. Dal canto suo il legale di Schmidheiny Astolfo Di Amato ha dichiarato dopo aver appreso il dispositivo della sentenza che «se passa il principio che il capo di una multinazionale è responsabile di tutto ciò che accade in tutti gli stabilimenti del mondo, allora investire in Italia, da ades­so, sarà molto difficile. Negli anni ’70 Schmidheiny ha investito 73 miliardi di lire negli stabilimenti italiani senza in­cassarne neanche una di profitto. È dif­ficile – ha concluso Di Amato – capire per­ché abbia investito tutti quei soldi allo scopo di fare del male».




CRONOLOGIA

1901
L’austriaco Ludwig Hatschek, proprieta­rio di una fabbrica di amianto, fa registra­re il nome Eternit (dal latino aeternitas,
l’eternità).

1903
Nasce a Niederurnen (GL) la Eternit Suis­se.

1918
Ernst Schmidheiny (nonno di Stephan) en­tra nel Consiglio di Amministrazione della società.

1924
Una rivista medica menziona per la pri­ma volta una nuova malattia polmonare, l’amiantosi. La SUVA (il principale assirucatore in Svizzera nel campo dell'assicurazione obbligaotira. NdMH) la ricononoscerà co­me malattia del lavoro nel 1939.

1933
Il figlio di Ernst Schmidheiny, Max, entra nel Consiglio di Amministrazione di Eter­nit.

1952
La famiglia Mazza, fondatrice delle fab­briche Eternit italiane, vende tutto alle omologhe società belga e francese PRIMI ANNI ’60
Alcuni medici stabiliscono il legame tra il mesotelioma (una forma rara e virulenta di cancro) e l’esposizione all’amianto.

PRIMI ANNI ’70
Nelle fabbriche si cambia sistema di pro­duzione dell’amianto: il metodo «a sec­co » viene rimpiazzato da quello «ad umi­do », considerato meno pericoloso.

1973
Gli svizzeri diventano azionisti di maggio­ranza della Eternit italiana. In qualche an­no raggiungono il 76% del capitale. No­nostante il cambiamento dei sistemi di produzione molti lavoratori e abitanti del­le aree coinvolte si ammalano e muoio­no.

1975
Stephan Schmidheiny, allora ventotten­ne, subentra al padre Max nella carica di amministratore delegato di Eternit. Sve­zia e Stati Uniti proibiscono l’uso del co­siddetto amianto floccato. La Svizzera se­gue due anni dopo. Gli edifici isolati con tale sostanza verranno bonificati a parti­re dal 1984.

1986
Eternit Italia fallisce. La procedura falli­mentare terminerà nel 2009.

1989
Stephan Schmidheiny vende le fabbri­che di Niederurnen (GL) e Payerne (VD) al fratello Thomas, conservando parte­cipazioni solo nelle società Eternit stra­niere.

1989
Il Consiglio federale (il potere esecutivo in Svizzera, in soldoni è l'organo che funge da presidente. NdMH) vieta ogni tipo di utilizzo dell’amianto a partire dal 1995. L’ultimo tubo contenente la sostanza viene prodotto a Niederurnen nel 1994.

1992
Anche l’Italia vieta l’amianto. Comincia­no alcuni processi per la morte di operai nelle fabbriche Eternit. Stephan Schmi­dheiny versa a titolo di risarcimento vo­lontario 13,5 milioni di franchi di inden­nizzo ai lavoratori degli impianti di Sira­cusa.

2008
Il Tribunale federale respinge le accuse contro i fratelli Schmidheiny relative a pro­cessi per la morte di cancro di operai di Niederurnen. I fatti sono prescritti.

13 FEBBRAIO 2012
Il Tribunale di Torino rende noto il verdet­to sul processo alle vittime italiane.




L’INTERVISTA ❚❘❙ DARIO MORDASINI
«Amianto in oltre il 50% degli edifici più vecchi»
L’esperto: era molto usato [...] prima del ’90


«La battaglia campale contro Eter­nit », come l’ha chiamata il sindaco di Casale Monferrato Giorgio Demezzi, ovvero il maxiprocesso che si è aper­to a Torino nel 2009 contro la multi­nazionale dell’amianto, si è conclusa con la condanna del miliardario elve­tico Stephan Schmidheiny e del baro­ne belga Louis de Cartier a 16 anni di carcere ciascuno. I due sono stati di­chiarati colpevoli di disastro doloso per le conduzioni degli stabilimenti di Cavagnolo (Torino) e Casale Mon­­ferrato (Alessandria). Una vittoria, cer­to, specie per i parenti delle tante vit­time, ma gli strascichi della triste vi­cenda si trascineranno ancora per molto tempo. Sì, perché l’amianto è pericoloso per la salute delle persone e ancora molto diffuso. [...] Il problema è che non esiste un censimento degli edifi­ci contenenti il pericoloso materiale. «Il rischio maggiore – ci aveva recen­temente detto Dario Mordasini, re­sponsabile del settore sicurezza sul la­voro del sindacato UNIA (il principale sindacato in Svizzera. NdMH) ed esperto in materia, nell’intervista che vi ripro­poniamo – è quello di scordarsi della sua presenza e, di conseguenza, tra­scurare le indispensabili misure da mettere in atto nei lavori di ristruttu­razione e demolizione. Poco proba­bile, invece, l’importazione di prodot­ti contenenti amianto da altri Paesi. È assurdo: la produzione del materiale nocivo, da noi vietata dal 1990, non è proibita a livello mondiale».
Perché l’amianto è pericoloso?
«È dannoso se le sue particelle ven­gono inalate. E il rilascio di fibre d’amianto nell’ambiente può avveni­re in occasione della lavorazione dei materiali oppure spontaneamente, come nel caso di composti usurati dal tempo o da agenti atmosferici».
Cosa succede se si inalano fibre d’amianto?
«L’esposizione all’amianto è associa­ta all’asbestosi, una malattia dell’ap­parato respiratorio, al cancro ai pol­moni e al mesotelioma, un tumore ra­ro della membrana di rivestimento del polmone o dell’intestino. Ma queste patologie insorgono molto tempo do­po l’esposizione: dopo 10, 20 anni e oltre. Il dato preoccupante è che i de­cessi dovuti all’esposizione all’amian­to, in Svizzera come in tutti i Paesi del­l’Europa, continuano ad aumentare. E il picco delle morti è atteso tra il 2015 e il 2020».
[...]
L’Eternit, economico e resistente, era un materiale molto usato tra gli an­ni ’50 e ’80, in tutti i settori. Quando si è scoperta la sua dannosità?
«In Svizzera la prima malattia profes­sionale provocata dall’amianto, un ca­so di asbestosi, è stata riconosciuta dalla SUVA nel 1939. Comunque, dal momento in cui si ha il primo sospet­to a quello in cui si giunge all’eviden­za scientifica passano anni. Alcuni af­fermano che già negli anni ’60 si era al corrente della sua pericolosità, al­tri sostengono che la conferma scien­tifica si è avuta solo negli anni ’80».
Comunque l’amianto in Svizzera è stato vietato solo nel 1990, ma Eter­nit ha ottenuto una proroga fino al 1994. Perché?
«La proroga valeva solo per alcuni pro­dotti che avevano fibre di amianto for­temente agglomerate e quindi piutto­sto stabili. Il rischio che il materiale si sfaldasse era dunque molto basso».
L’amianto è davvero un grosso pro­blema. Come si può intervenire per arginarlo?
«Ci sono quattro campi di intervento possibili: la protezione di chi ancora oggi è esposto al pericolo, la lotta per l’introduzione di un divieto di produ­zione mondiale, il sostegno alle vitti­me della terribile sostanza e l’impe­gno affinché la tragedia dell’amianto non si ripeta con altre sostanze o tec­nologie ».




Fonte: Corriere del Ticino, 14.02.2012



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