Perchè la Cina non finisce nella grande rete. Nostante alcuni passi avanti la censura soffoca tutti i media
In Cina Governo e libertà di parola e di stampa non vanno d'accordo. Per niente. Lo dimostrano anche diversi episodi di cronaca recente. A fine giugno, poco prima dell'approvazione da parte dell'ONU di una risoluzione che sancisce la parità delle libertà online/offline e che si scaglia contro la censura su Internet (sottoscritta tra l'altro anche dalle autorità cinesi), Pechino ha chiuso il sito di informazione Bloomberg (leggi articolo in basso). Il motivo dell'oscuramento? Un reportage che metteva in luce il giro di affari di Xi Jinping, attuale vicepresidente della Repubblica Popolare Cinese e con ogni probabilità futuro successore del presidente Hu Jintao, e della sua famiglia. Cerchiamo di analizzare il difficile rapporto che intercorre tra media e autorità cinesi con Gianluigi Negro, dottorando al China Media Observatory (CMO) dell'USI.
■ Gianluigi Negro, qual è il rapporto che si è instaurato tra i media cinesi in lingua cinese e il Governo di Pechino?«I media in Cina si sono sviluppati molto, soprattutto a livello economico, a partire dalle politiche varate da Deng Xiaoping (negli anni ‘80-'90) fino ad oggi. Il problema è che questo sviluppo economico così veloce non è stato associato ad una crescita della libertà di espressione delle agenzie di stampa, delle televisioni, delle radio e dei giornali. Questo sviluppo è stato dunque sbilanciato perché la voce del Governo, la gestione in termini di contenuti, è ancora molto forte. Allo stesso tempo, però, se si parla di sistema mediatico, Internet rappresenta qualcosa di molto più libero e aperto rispetto agli altri mezzi di comunicazione di massa, quali possono essere televisioni e giornali in particolare».
E qual è invece la relazione tra le autorità e i media cinesi in lingua inglese?
«I giornali in inglese sono soprattutto destinati a lettori stranieri, mentre i cinesi in grado di leggerli sono molto pochi. È risaputo che la Cina ha e sta investendo moltissimo nella creazione di una vera e propria immagine di sé stessa con le politiche del soft power . Basti immaginare l'importanza strategica e i copiosi investimenti che sono stati effettuati soprattutto riguardo all'apertura dei vari istituto Confucio in giro per il mondo, coinvolgendo il corpo accademico. C'è una volontà di voler presentare la Cina all'estero sotto una luce positiva».
Quali sono le regole? Cosa può essere pubblicato e cosa no?
«È molto difficile dirlo. Sono stati raggiunti risultati molto importanti sulla libertà di espressione. Quella presente oggi è di un livello di gran lunga superiore rispetto a dieci anni fa. In linea di massima, i media cinesi possono riportare anche situazioni di criticità. L'importante è che non venga messa in discussione la stabilità del Governo. Deve essere presentato un approccio costruttivo piuttosto che di contrasto nei confronti delle autorità. Dipende, prima di tutto, da chi è il mittente e da chi è il destinatario. In seconda istanza il contenuto, la forma e il coinvolgimento. Se il messaggio è pericoloso ai fini della stabilità ed è particolarmente coordinato (organizzato sotto più aspetti), questo sarà verosimilmente censurato».
Come si comporta il Partito Comunista Cinese (PCC) nei confronti di Internet? Che tipo di controllo viene esercitato e in quale ambito?
«Lo sviluppo di Internet in Cina è stato espressamente sostenuto dal Governo, proprio in termini economici. In passato, l'allora presidente Jian Zemin aveva sostenuto che nessuna delle quattro modernizzazioni, strutturate nel piano quinquennale, sarebbero state conseguite senza lo sviluppo di un sistema di informazione. Internet rappresenta un tassello fondamentale in questo. I numeri parlano chiaro: è il primo Stato al mondo in termini di utenti».
Per quanto riguarda i social network (Twitter, Facebook, YouTube)?
«I cinesi hanno avuto la possibilità di testare i social network occidentali. Tuttavia nel 2009 è arrivata l'ondata censoria da parte del Governo. Durante gli sconti dello Xinjiang, nel 2009, c'è stato l'oscuramento di Twitter, YouTube e Facebook. Nel breve periodo durante il quale Facebook è stato presente, ha optato, dal canto suo, per una promozione discutibile nel contesto cinese. In primis delle traduzioni errate. L'utente cinese, in più, è abituato a usare Internet in maniera diversa rispetto a noi. Predilige un design molto corposo e colorato: Google, da noi, è una pagina bianca. Non è un caso che tra il 2008 e il 2009, il maggior social network era Renren, considerato da molti utenti (anche cinesi) un rifacimento di Facebook. Nessuno confuta l'esistenza di una censura, ma d'altro canto bisogna anche rilevare come lo studio e l'approccio al mercato di Internet cinese non sempre è stato ben ponderato dalle aziende occidentali».
In che modo si comportano le società occidentali rispetto alla politica di censura del Governo cinese?
«Nel 2010 Google ha deciso di indirizzare le proprie ricerche verso i server di Hong Kong. Google è però un'eccezione. Lee Kai Fu è l'emblema di una campagna accurata, cercando di mediare dalle istanze del pubblico e del Governo. È possibile definire il mercato di Internet, in Cina, come “già abbastanza maturo”. Sina Weibo ha 300 milioni di utenti. QQ, l'equivalente del nostro MSN, ha 400 milioni di iscritti. Competere davanti a questi numeri dà l'impressione che forse sia un po' troppo tardi per le aziende occidentali».
Come sono state accolte le critiche fatte a proposito della libertà di stampa dal Partito Comunista Cinese?
«Il PCC non ha una sola linea politica. La realtà del contrasto, dopo la riforma economica, è molto forte. L'ala progressista vuole la riforma del sistema, l'ala conservatrice opta per un forte controllo. Basti pesare a Bo Xilai, lui fermo sostenitore di una politica molto rigorosa e di controllo verticale, è stato in contrasto con le politiche liberali e per questo allontanato. I mesi antecedenti il cambio di linea politica significheranno molto per il futuro in termini di stabilità».
Dalle statistiche redatte dal Governo cinese si evince che l'80% dei cittadini che utilizzano Internet si fida delle informazioni trovate sulla Rete e che il 66% partecipa con continuità a discussioni online. Come si comporta il Governo?
«La maggior parte delle discussioni non riguardano la politica. I blog più seguiti sono di artisti pop, del cinema e star in generale. Questa è una scelta commerciale. Per certi versi è possibile sostenere che in Cina, più che in un contesto europeo, il coinvolgimento da parte dell'utenza ha riguardato la promozione grazie a figure di rilievo».
Cos'è il «partito dei 50 centesimi»?
«È un fenomeno che coinvolge utenti assoldati per indirizzare un determinato tipo di discussione nel mondo virtuale. I contenuti possono essere politici come aziendali. Il Wumaodang, “partito dei cinquanta centesimi”, gli studenti universitari pagati 50 mao per ogni post di “indirizzamento”. Bisognerà vedere se questa linea del Governo sarà mantenuta quando, come vociferato negli ultimi mesi, verrà applicata la politica del “real name registration”. Se sarà attuata la politica di registrazione del nome sarà più difficile indirizzare l'opinione pubblica tramite profili falsi, ma sarà più facile monitorare. L'unico fattore che gioca a favore dell'implementazione della legge è il cellulare. Quando si assocerà il numero di cellulare al servizio di micro-blog il monitoraggio poterà all'autocensura».
Il caso: se fai la spia ti chiudo
Bloccato Bloomberg dopo il pesante dossier sulla famiglia di Xi Jinping
■ Bloomberg.com è uno dei maggiori portali di economia del mondo. Perché in Cina è stato bloccato? Di proprietà dell'attuale sindaco di New York, Michael Bloomberg, il sito ha pubblicato lo scorso 29 giugno un reportage sui membri della famiglia allargata di Xi Jinping, colui che, probabilmente, entro la fine dell'anno prenderà il posto di Hu Jintao alla guida della Cina. Il reportage si sofferma sulla famiglia del politico e, in particolare, su come sia cresciuta la sua influenza e il suo potere economico con la scalata all'interno del Partito Comunista Cinese di Jinping. A causa di questo documento, il portale online è stato chiuso dal Governo di Pechino. Un oscuramento dovuto al meticoloso lavoro di ricerca fatto dai giornalisti Michael Forsythe, Shai Oster, Natasha Khan e Dune Lawrence, che sono riusciti a scavare nelle operazioni finanziarie di tutta la famiglia scoprendo risvolti che hanno fatto innervosire molti esponenti del PCC. Il tutto però sottolineando più volte la totale estraneità di Jinping dagli affari di famiglia. Il dossier inizia con una citazione dello stesso Xi Jinping nella quale, durante una conferenza anticorruzione nel 2004, afferma: «Imbrigliate le vostre mogli, i vostri figli, i vostri parenti, gli amici e collaboratori e giurate di non usare il vostro potere per motivi personali». Quindi continua con un elenco di operazioni finanziarie da centinaia di milioni di yuan offrendo nomi, cognomi e dati di tutte le persone coinvolte negli affari. Gli interessi della famiglia allargata di Xi, si legge, consistono in investimenti in aziende private per un totale di circa 376 milioni di dollari. Inoltre possiedono partecipazioni azionarie del 18% in industrie che lavorano terre rare (elementi chimici) quantificate in 1,73 miliardi di dollari e 20,2 milioni di dollari in azioni di una public company che si occupa di tecnologia. La domanda che emerge però è la seguente: se i giornalisti di Bloomberg hanno detto, documentandolo, che non c'è nessun legame con l'esponente del PCC, perché il sito è stato bloccato?
Fonte di entrambi gli articoli: Corriere del Ticino, 19.07.2012