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 Perchè la Cina non finisce nella grande rete

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Maresciallo_Helbrecht
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MessaggioTitolo: Perchè la Cina non finisce nella grande rete   Perchè la Cina non finisce nella grande rete Icon_minitimeGio Lug 19, 2012 10:39 am

Perchè la Cina non finisce nella grande rete. Nostante alcuni passi avanti la censura soffoca tutti i media

In Cina Governo e libertà di parola e di stampa non vanno d'accordo. Per nien­te. Lo dimostrano anche diversi episodi di cronaca recente. A fine giugno, po­co prima dell'approvazione da parte dell'ONU di una risoluzione che sanci­sce la parità delle libertà online/offline e che si scaglia contro la censura su In­ternet (sottoscritta tra l'altro anche dalle autorità cinesi), Pechino ha chiuso il sito di informazione Bloomberg (leggi articolo in basso). Il motivo dell'oscu­ramento? Un reportage che metteva in luce il giro di affari di Xi Jinping, attua­le vicepresidente della Repubblica Popolare Cinese e con ogni probabilità fu­turo successore del presidente Hu Jintao, e della sua famiglia. Cerchiamo di analizzare il difficile rapporto che intercorre tra media e autorità cinesi con Gianluigi Negro, dottorando al China Media Observatory (CMO) dell'USI.

■ Gianluigi Negro, qual è il rapporto che si è instaurato tra i media cinesi in lingua cinese e il Governo di Pechino?«I media in Cina si sono sviluppati mol­to, soprattutto a livello economico, a par­tire dalle politiche varate da Deng Xiao­ping (negli anni ‘80-'90) fino ad oggi. Il problema è che questo sviluppo econo­mico così veloce non è stato associato ad una crescita della libertà di espressione delle agenzie di stampa, delle televisio­ni, delle radio e dei giornali. Questo svi­luppo è stato dunque sbilanciato perché la voce del Governo, la gestione in termi­ni di contenuti, è ancora molto forte. Al­lo stesso tempo, però, se si parla di siste­ma mediatico, Internet rappresenta qual­cosa di molto più libero e aperto rispet­to agli altri mezzi di comunicazione di massa, quali possono essere televisioni e giornali in particolare».
E qual è invece la relazione tra le auto­rità e i media cinesi in lingua inglese?
«I giornali in inglese sono soprattutto de­stinati a lettori stranieri, mentre i cinesi in grado di leggerli sono molto pochi. È risaputo che la Cina ha e sta investendo moltissimo nella creazione di una vera e propria immagine di sé stessa con le po­litiche del soft power . Basti immaginare l'importanza strategica e i copiosi inve­stimenti che sono stati effettuati soprat­tutto riguardo all'apertura dei vari istitu­to Confucio in giro per il mondo, coin­volgendo il corpo accademico. C'è una volontà di voler presentare la Cina al­l'estero sotto una luce positiva».
Quali sono le regole? Cosa può essere pubblicato e cosa no?
«È molto difficile dirlo. Sono stati rag­giunti risultati molto importanti sulla li­bertà di espressione. Quella presente og­gi è di un livello di gran lunga superiore rispetto a dieci anni fa. In linea di massi­ma, i media cinesi possono riportare an­che situazioni di criticità. L'importante è che non venga messa in discussione la stabilità del Governo. Deve essere pre­sentato un approccio costruttivo piutto­sto che di contrasto nei confronti delle autorità. Dipende, prima di tutto, da chi è il mittente e da chi è il destinatario. In seconda istanza il contenuto, la forma e il coinvolgimento. Se il messaggio è pe­ricoloso ai fini della stabilità ed è parti­colarmente coordinato (organizzato sot­to più aspetti), questo sarà verosimilmen­te censurato».
Come si comporta il Partito Comunista Cinese (PCC) nei confronti di Internet? Che tipo di controllo viene esercitato e in quale ambito?
«Lo sviluppo di Internet in Cina è stato espressamente sostenuto dal Governo, proprio in termini economici. In passa­to, l'allora presidente Jian Zemin aveva sostenuto che nessuna delle quattro mo­dernizzazioni, strutturate nel piano quin­quennale, sarebbero state conseguite senza lo sviluppo di un sistema di infor­mazione. Internet rappresenta un tassel­lo fondamentale in questo. I numeri par­lano chiaro: è il primo Stato al mondo in termini di utenti».
Per quanto riguarda i social network (Twitter, Facebook, YouTube)?
«I cinesi hanno avuto la possibilità di te­stare i social network occidentali. Tutta­via nel 2009 è arrivata l'ondata censoria da parte del Governo. Durante gli scon­ti dello Xinjiang, nel 2009, c'è stato l'oscu­ramento di Twitter, YouTube e Facebo­ok. Nel breve periodo durante il quale Facebook è stato presente, ha optato, dal canto suo, per una promozione discuti­bile nel contesto cinese. In primis delle traduzioni errate. L'utente cinese, in più, è abituato a usare Internet in maniera di­versa rispetto a noi. Predilige un design molto corposo e colorato: Google, da noi, è una pagina bianca. Non è un caso che tra il 2008 e il 2009, il maggior social net­work era Renren, considerato da molti utenti (anche cinesi) un rifacimento di Facebook. Nessuno confuta l'esistenza di una censura, ma d'altro canto bisogna anche rilevare come lo studio e l'approc­cio al mercato di Internet cinese non sempre è stato ben ponderato dalle aziende occidentali».
In che modo si comportano le società occidentali rispetto alla politica di cen­sura del Governo cinese?
«Nel 2010 Google ha deciso di indirizza­re le proprie ricerche verso i server di Hong Kong. Google è però un'eccezio­ne. Lee Kai Fu è l'emblema di una cam­pagna accurata, cercando di mediare dal­le istanze del pubblico e del Governo. È possibile definire il mercato di Internet, in Cina, come “già abbastanza maturo”. Sina Weibo ha 300 milioni di utenti. QQ, l'equivalente del nostro MSN, ha 400 mi­lioni di iscritti. Competere davanti a que­sti numeri dà l'impressione che forse sia un po' troppo tardi per le aziende occi­dentali».
Come sono state accolte le critiche fat­te a proposito della libertà di stampa dal Partito Comunista Cinese?
«Il PCC non ha una sola linea politica. La realtà del contrasto, dopo la riforma eco­nomica, è molto forte. L'ala progressista vuole la riforma del sistema, l'ala conser­vatrice opta per un forte controllo. Basti pesare a Bo Xilai, lui fermo sostenitore di una politica molto rigorosa e di control­lo verticale, è stato in contrasto con le po­litiche liberali e per questo allontanato. I mesi antecedenti il cambio di linea po­litica significheranno molto per il futuro in termini di stabilità».
Dalle statistiche redatte dal Governo ci­nese si evince che l'80% dei cittadini che utilizzano Internet si fida delle infor­mazioni trovate sulla Rete e che il 66% partecipa con continuità a discussioni online. Come si comporta il Governo?
«La maggior parte delle discussioni non riguardano la politica. I blog più seguiti sono di artisti pop, del cinema e star in generale. Questa è una scelta commer­ciale. Per certi versi è possibile sostene­re che in Cina, più che in un contesto eu­ropeo, il coinvolgimento da parte del­l'utenza ha riguardato la promozione gra­zie a figure di rilievo».
Cos'è il «partito dei 50 centesimi»?
«È un fenomeno che coinvolge utenti as­soldati per indirizzare un determinato tipo di discussione nel mondo virtuale. I contenuti possono essere politici co­me aziendali. Il Wumaodang, “partito dei cinquanta centesimi”, gli studenti universitari pagati 50 mao per ogni post di “indirizzamento”. Bisognerà vedere se questa linea del Governo sarà mantenu­ta quando, come vociferato negli ultimi mesi, verrà applicata la politica del “re­al name registration”. Se sarà attuata la politica di registrazione del nome sarà più difficile indirizzare l'opinione pub­blica tramite profili falsi, ma sarà più fa­cile monitorare. L'unico fattore che gio­ca a favore dell'implementazione della legge è il cellulare. Quando si assocerà il numero di cellulare al servizio di mi­cro-blog il monitoraggio poterà all'au­tocensura».





Il caso: se fai la spia ti chiudo

Bloccato Bloomberg dopo il pesante dossier sulla famiglia di Xi Jinping

■ Bloomberg.com è uno dei maggiori portali di economia del mondo. Perché in Cina è stato bloccato? Di proprietà del­l'attuale sindaco di New York, Michael Bloomberg, il sito ha pubblicato lo scor­so 29 giugno un reportage sui membri della famiglia allargata di Xi Jinping, co­lui che, probabilmente, entro la fine del­l'anno prenderà il posto di Hu Jintao al­la guida della Cina. Il reportage si soffer­ma sulla famiglia del politico e, in parti­colare, su come sia cresciuta la sua in­fluenza e il suo potere economico con la scalata all'interno del Partito Comunista Cinese di Jinping. A causa di questo do­cumento, il portale online è stato chiuso dal Governo di Pechino. Un oscuramen­to dovuto al meticoloso lavoro di ricerca fatto dai giornalisti Michael Forsythe, Shai Oster, Natasha Khan e Dune La­wrence, che sono riusciti a scavare nelle operazioni finanziarie di tutta la famiglia scoprendo risvolti che hanno fatto inner­vosire molti esponenti del PCC. Il tutto però sottolineando più volte la totale estraneità di Jinping dagli affari di fami­glia. Il dossier inizia con una citazione dello stesso Xi Jinping nella quale, du­rante una conferenza anticorruzione nel 2004, afferma: «Imbrigliate le vostre mo­gli, i vostri figli, i vostri parenti, gli amici e collaboratori e giurate di non usare il vostro potere per motivi personali». Quindi continua con un elenco di ope­razioni finanziarie da centinaia di milio­ni di yuan offrendo nomi, cognomi e da­ti di tutte le persone coinvolte negli affa­ri. Gli interessi della famiglia allargata di Xi, si legge, consistono in investimenti in aziende private per un totale di circa 376 milioni di dollari. Inoltre possiedono par­tecipazioni azionarie del 18% in indu­strie che lavorano terre rare (elementi chimici) quantificate in 1,73 miliardi di dollari e 20,2 milioni di dollari in azioni di una public company che si occupa di tecnologia. La domanda che emerge pe­rò è la seguente: se i giornalisti di Bloom­berg hanno detto, documentandolo, che non c'è nessun legame con l'esponente del PCC, perché il sito è stato bloccato?




Fonte di entrambi gli articoli: Corriere del Ticino, 19.07.2012
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