L’Erede della Montagna [bg conti vampiro]

“Waaarg!!”
La testa del cavaliere atterrò sul gelido pavimento con un tonfo sordo, colmando il salone con le eco del suo scorrere lento.
“Ho vinto io questo duello, Dacier!”
Mentre il vincitore riponeva con cura la sua spada un impercettibile rumore attirò la sua attenzione. Voltò la testa e vide un ricco trono nero attorno al quale si ergeva un manipolo di soldati immobili e silenziosi e alla cui destra sedeva una incantevola fanciulla dalle labbra carnose ed intense. Era notte inoltrata e solo la pallida luce della luna illuminava il luogo. L’unico suono presente proveniva dal lento battere delle mani dell’uomo che occupava il posto d’onore. Era un individuo alto e imponente, con lunghi capelli corvini che gli coprivano il volto ancora chino; un tetro mantello avvolgeva la sua armatura di uno sgradevole colore cremisi, come se il proprietario fosse stato scorticato.
“I miei complimenti, ragazzo…”
La voce era calma e gelida come la lama di un coltello.
“Qual è il tuo nome?”
“Il mio nome è Karl Wilhelm Friedrich von Schlegel… Signore…”
L’essere alzò finalmente lo sguardo verso di lui e due occhi di un misto tra l’azzurro ed il grigio ghiaccio lo paralizzarono.
“Bene Friedrich… hai dimostrato di essere più in gamba di tutti i miei servi, hai sconfitto ogni mio cavaliere ed hai ucciso il mio araldo… come si chiamava?”
“Andrè Dacier..”
Rispose la dama, che aveva una meraviosa voce. Con una punta di rabbia, pensò Friedrich.
“Si, si… Dacier... Dicevo, ora che lo hai ucciso sarai tu a sostenere il mio stendardo sul campo di battaglia. Inoltre avrai una serie di privilegi. Ma mada di non deludermi o non avrai il tempo di capire in che cosa mi hai contrariato. Ora và…”
“Si signore.
Mentre usciva dalla sala, con il portone che si chiuse con fragore alle sue spalle, stava ancora pensando al combattimento che aveva appena compiuto. Lui ed il suo avversario erano stati a lungo immobili, a studiarsi vicendevolmente. Nessuno di loro provava rancore verso l’altro, l’unica cos che importava veramente era i titolo di araldo. A Friedrich non interessava minimamente di sventolare un vecchio stendardo in battaglia e, ne ara certo, a nessuno che lo avesse già fatto o combattesse per farlo. Il vero premio erano i privilegi che potevano ottenere dal ruolo che ricoprivano. Improvvisamente i due rivali si scagliarono l’uno contro l’altro, uno armato di spada e e l’altro di lancia e cominciarono a scambiarsi colpi tanto veloci quanto letali. Il castello era immerso nel silenzio più totale, regnava una quiete innaturale, si poteva udire solo il furore dei due combattenti.
“Hai imparato bene…”
“Ho avuto un buon maestro.”
“E tu speri di batterlo?”
“Ne sono certo”
La sfida infuriava davanti agli sguardi spenti dei presenti.
“Sai bene che solo uno di noi potrà andarsene.. Come speri di poter battere me che combatto da prima della tua nascita? Cosa ti spinge a rischiare tanto? Dimmelo. Parla!
“Ho i miei motivi. Waaarg!!”
La luna lo accolse come una sorella all’uscita. Sellò il cavallo e si diresse ad ovest, finalmente libero.

Giunse alle porte di Waldenhof in poche ore, avvolto in un sudario scuro. La sentinella fece la migliore scelta della sua vita a non fare domande e a spalancargli il portone della città. La sua sagoma scivolò rapida e silenziosa fino alla cittadella. Le due guardie che gli si pararono davanti non furono così fortunate come la precedente. Entrò furtivamente nel plazzo del conte dove uccise tutti i servitori per evitare che desse l’allarme, poiché sarebbe stato impossibile evitare di far rumore di li a poco. Completate tutte le misure di sicurezza, scelse una pesante spada a due mani tra tutte le numerose armi che erano appese, poi spalancò l’entrata dei quelli che dovevano essere gli alloggi nobiliari e a pieni polmoni grido:
“Wilhelm August von Schlegel!”
L’assopito uomo si svegliò di colpo e istintivamente mise mano alla pistola già carica che era sul comodino. Lo spadone appena raccolto la tranciò in due e si conficcò profondamente nel muro a pochi centimetri dalla sua testa.
“Sono venuto ad ucciderti, fratello.”
“Ma chi… Friedrich?”
“Peccato che il tempo mi abbia preceduto, ho saputo che nostro padre è già morto.. lui sarebbe stato sicuramente il primo. Arrabbiati pure con lui per questi pochi minuti che ti ha sottratto.”
L’uomo si alzò dal letto e ormai perfettamente lucido estrasse la spada con naturalezza e si voltò per allacciare l’armatura.
“Avresti potuto sopraffarmi facilmente mentre dormivo… è una sfida che vuoi, quindi. Non dici niente.. Quand’è così vieni, ti faccio strada nell’atrio.”
Le due figure scivolarono rapidamente al piano sottostante.
“Cosa ti è successo in tutto questo tempo? Non ci vediamo da quel giorno..”
“Non voglio perdere tempo a parlare con uno come te. In guardia!”
Un rapido scambio di colpi aprì il duello. I colpi dell’imperiale erano molto precisi e aveva un’ottima difesa, che negava all’avversario la vittoria veloce che bramava.
“Sei migliorato…”
“-Torna presto, fratellone- Te le ricordi queste parole, maledetto traditore? Eh?”
Rapidi scambi di affondi e stoccate si susseguivano ad un ritmo incalzante, mentre tentaggi e vasi pregiati finivano in frantumi al suolo.
“Che ti prende, mostro? Non sei capace di battermi? E tutta la boria di prima dove l’hai lasciata? Non sarà forse perché l’alba si avvicina? Ah ah ah! Povero idiota!”
Improvvisamente si era reso conto del terribile errore che aveva commesso: accecato dalla rabbia, appena avuto il permesso che agognava da anni non era riuscito a trattenersi. Suo fratello era un abile spadaccino e più il tmpo passava più sentiva le sue membra pesanti e lente.. Ora gli era chiaro il motivo di tutti quei discorsi e di quell’attesa snervante durante lo scontro: suo fratello aspettava l’alba!
“Credevi che non ti avessi riconosciuto? Mi facevi così stolto? Pover illuso!”
Un altro terrible fendente lo mandò a terra, poi un poderoso calcio lo spinse oltre l’enorme vetrata del salone principale, che con un assordante frastuono crollò. Si trovava sospeso e si reggeva con una sola mano per non cadere. Segui la sua spada nella interminabile caduta che la portò al suolo, mentre alle sue spalle il sole sorgeva già e le sue carni cominciavano ad ardere.
“Hai perso, miserabile creatura!”
La risata gli morì in un terribile grido quando venne afferrato per la caviglia e scaraventato nel vuoto.
“No, sei tu che hai perso, maledetto traditore.”

Si issò dolorante per cercare riparo dalla luce del solare. Speva che entro poco tempo quel posto sarebbe stato gremito di persone e che quindi doveva trovare un luogo sicuro dove rifugiarsi per trascorrere il giorno. Corse furtivo nella sua vecchia camera quando già sentiva le prima grida che chiamavano a gran voce rinforzi perché di lì era passato un vampiro ed aveva ucciso tutti i servitori. Appena dentro si accorse che tutto era stato lasciato come era 25 anni prima. Fu allora che gli venne in mente di cercare il suo vecchio diario dove narrava la vera storia della sua vita, prima che venisse calunniata o semplicemente insabbiata dalla sua famiglia. Lo trovò facilmente, nemmeno quello era stato rimosso dal cassetto segreto della sua scrivania. Aveva tempo, quindi si mise a leggere…

“Il mio nome è Karl Wilhelm Friedrich von Schlegel, sono il figlio maggiore di Johann Adolf Schlegel ed erede del castello di Waldenhof, ad est dell’impero, da sempre chiamato -La Montagna- per la sua maestosità e la tradizione di inespugnabilità che la avvolge da secoli. Scrivo queste mie memorie pechè, benchè ancora molto ricca, la mia famiglia è in decadenza ed è ormai corrotta fino alle radici. Così facendo spero che la mia persona, che sarà sicuramente offuscata dalle dicerie e malelingue incoraggiate da mio padre, possa un giorno essere riabilitata e ritrovare l’onore. Ma cominciamo dal principio. Come già accennato la mia famiglia è molto ricca e in gioventù amavo molto languire nell’ozio e dedicare agli svaghi più di quanto fosse corretto. Trascorrevo le mie giornate leggendo e cacciando, scrivendo e cavalcando. Tutto questo durò fino al giorno in cui raggiunsi la maggiore età, quando fui arruolato da mio padre nell’esercito imperiale. Come era consueto per i nobili, dopo qualche anno di apprendistato presso i reparti di cavalleria leggera sarei stato indirizzato agli ordini cavallereschi, probabilmente sarei finito in quello del Ferro e del Sangue, che ha sede molto vicino alla mia città natale. Inizialmente, come non farete fatica ad intuire, ero riluttante all’idea, ma dopo appena un anno avevo cambiato radicalmente le mie convizioni: ero diventato il musico dell’ottavo reggimento di pistolieri dell’ordine, il più rinomato per ardimento e tenacia sul campo di battaglia, ed ero maturato molto: ero pronto a diventare l’erede della Montagna. Ma questi giorni felici durarono poco: scoprii infatti che mio padre aveva corrotto quasi tutti i funzionari ed i nobili della provincia e aveva intenzione di ottenere il titolo di conte elettore e di sfruttarlo per il suo tornaconto personale. Appena scopri tutto ciò gliene parlai apertamente e con chiarezza ma la discussione degenerò velocemente e mio ordinò di andarmene. Evidentemente la paura che io andassi a riferire quello he avevo scoperto era troppa, infatti l’ottavo reggimento fu incaricato il giorno dopo di procedere in avanscoperta verso i territori montuosi ad est della provincia, da sempre infestati dai pelleverde. Individuammo un grosso contingente di orchi e dai prigionieri riuscimmo a capire che il generale orco Vork Masticaossa era in procinto di attaccare la regione non appena avesse radunato il numero sufficiente di truppe, il che gli avrebbe portato via al massimo un quattro o cinque mesi. Tornammo per fare rapporto con non poche perdite, ma gli eventi dubbi non finirono qui infatti l’Ordine decise di attaccare il prima possibile e il nostro reggimento fu incaricato di assaltare i pezzi di artiglieria del nemico, il compito più pericoloso in assoluto. Il giorno prestabilito le truppe regolari dello Stirland si mossero affiancandoci nella complessa operazione militare, all’alba attaccammo. Il diciassettesimo reggimento cavalleggeri ci era stato assegnato come supporto e senza perdere ulteriore tempo ci lanciammo alla carica verso le baliste dei pelleverde. Qualche dardo saettò tra i ranghi falciando diversi uomini, ma nessuno cedette al panico. Il momento dello scontro era prossimo e ognuno aveva già estratto le pistole ed era pronto a fare fuoco.
“Al mio ordine!”
Quando tutti puntarono le bocche da fuoco mi resi conto che era troppo tardi: l’uomo alla mia destra mi aveva puntato l’arma alla tempia e sorrideva beffardo. Avrei dovuto immaginarlo..
“Saluti da papà..”
“Fuoco!!”

Quando riaprì gli occhi era notte inoltrata e la battaglia era già finita da un pezzo. Mi sentivo spossato e debole e con un gran male alla testa. Contento i essere vivo e di potermi muovere, mi trascinai fino ad una pozza d’acqua. Mi ci specchiai assieme alla luna e vidi che il mio volto era sfegiato da una profonda cicatrice che partiva dalla tempia e arrivava quasi fino al mento. Non ero morto, ma di certo nessuno mi avrebbe riconosciuto come il figlio del conte von Schlegel, morto da eroe durante una carica per difendere il paese.
Dovevo trovare il modo di tronare in città..

Quando giunsi in vista di Waldenhof mi accorsi che il contingente era accampato nei pressi dello Stir, a circa mezz’ora dalla città. I fuochi da campo ardevano ancora.. probabilmente delle giovani guardie stavano chiacchierando del più e del meno in attesa che qualcuno venisse a dargli il tanto atteso cambio. Nessuno mi avrebbe riconosciuto ma non avevo nessuna volgia di rischiare, così mi liberai del mio abito da pistoliere e lo scambiai con quello di uno sfortunato lanciere che avevo preventivamente raccolto, deciso ad introdurmi nell’accampamento per ottenere informazioni e soprattutto per cercare una certa persona con cui avevo un conto in sospeso… Mi introdussi facilemente nella zona dove dormivano i reparti scelti accodandomi ad un gruppo di soldati che ne pattugliava il perimetro. Cominciai ad esaminare i volti degli uomini che dormivano fino a che finalmente trovai quello giusto. Gli chiusi la bocca con una mano e lo svegliai con un poderoso strattone. Gli augurai una piacevola giornata mostrandogli il mio coltello e con un gesto eloquente riuscì a fargli capire che avrebbe fatto meglio a rimanere in silenzio. L’interrogatorio non durò molto, anche perché l’uomo si dimostrò molto collaborativo, tranne quando mi congedai tagliandogli la gola. Ciò che avevo saputo non mi rallegrava molto: ebbi la conferma che era la mia famiglia ad aver ordinato il mio assassinio e che era pieno di sicari al soldo di mio padre, ognuno con il preciso compito di eliminarmi. Mi consolava l’idea che ormai tutti mi considerassero morto, abbassando quindi le difese. Decisi che per fermare quanto stava sucedendo avrei dovuto avere delle prove, così restai con il resto delle truppe per circa un anno, lavorando nell’ombra.
Dopo un breve periodo come sergente del reggimento di lancieri (venni subito promosso per il valore dimostrato sul campo) fui reclutato come Musico della Guardia di Palazzo, dove combattei sotto il falso nome di Ferdinand Ratzel. Alla fine dell’anno difesi il mio contingente da una imboscata dove subimmo molte perdite, compreso il nostro Capitano: fummo attaccati e tagliati fuori dalla colonna, che fu competamente sbaragliata, trovandoci quindi isolati in attesa di rinforzi e circondati dai pelleverde che cervano i superstiti. Quando finalmente ci ritrovarono, il Campione del Conte parlò molto bene di me al Generale Schliemann, l’uomo che era stato incaricato di organizzare una contraffensiva, esaltando il mio sangue freddo e le doti di comando e organizzazione. Fui quindi promosso sul campo a Capitano dell’Impero. Questo nuovo rango mi dava molta più libertà di movimento ma ero anche più famoso e dovevo raddoppiare l’attenzione nelle mie indagini. Durante questo periodo catturai ed uccisi altri cinque cospiratori e venni a conoscenza del piano di mio padre sempre più nei dettagli: liberarsi di me, assumersi il merito di un figlio morto per la partria, trasformare mio fratello in un burattino nelle sue mani e spianare la strada per proporlo come Conte Elettore.
Una lunga e sanguinosa guerra di difesa lacerò la regione per un altro inverno, al termine del quale fui convocato a rapporto dal Generale. Appena entrai fui accolto da una decina di soldati che mi immobilizzarono e incatenarono senza lascarmi il tempo di difendermi.
“Karl Wilhelm Friedrich von Schlegel, i tuoi crimini sono stati scoperti e io ti condanno dietro ordine di Johann Adolf Schlegel alla pena di morte che verrà eseguita domani all’alba. Scortatelo alle segrete!”
Mi seri conto troppo tardi a che livello di corruzione fosse giunto il mio paese e sassegnato mi lasciai condurre alle carceri che si trovavano nel castello dell’ordine cavalleresco.

Venni condotto nella roccca di Waldenhof e fui rinchiuso nelle mie stanze. L’attesa era davvero opprimente: nessuno al di fuori del diretto interessato può immagine come ci si senta con la consapevolezza di avere solo una manciata di ore a disposizione. L’aspetto più crudele della pena di morte è sapere l’ora esatta in cui cesseremo di vivere, che avremo solo una manciata di ore prima della fine; che quell’indefinito traguardo a cui non abbiamo mai pensato se non distrattamente ora è invece nitido e cristallino e ci paralizza con la sua inammovibilità. Si può percepire lo scorrere dei minuti, dei secondi, ogni preziosissimo istante sfuggirci come sabbia nel vento da mani ormai rassegnate, che non fanno quasi nessuno sforzo per imperdire qualcosa che sanno inevitabile. E così si finisce per calcolare il tempo che ci resta da vivere: cinque ore, diciassette minuti e tredici secondi, almeno per l’impietoso orologio a pendolo che continua il suo lavoro inesorabile e tramuta l’odio e la tentazione di distruggerlo in una pallida rassegnazione. Cinque ore, nove minuti e cinquantatré secondi. L’istinto ci suggerisce di sfruttare il tempo rimanente, ma, presi alla sprovvista, non siamo in grado di organizzare neppure un seppur minimo elenco dei rimpianti o delle soddisfazione che vogliamo toglierci. Quattro ore, trentanove minuti e venti secondi. La vita ci galoppa davanti anche se facciamo finta di nulla. Appena apriamo finalmente gli occhi, ogni particolare che ci circonda rievoca un preciso momento della nostra vita a cui non davamo la minima importanza o che avevamo semplicemente scordato. Due ore, quindici minuti e sette secondi. Al terzo sbadiglio ci rendiamo conto di aver davvero gettato la spugna. Di primo acchito proviamo vergogna di noi stessi, ma tutto passa… “vulnerant omnes, ultima necat” è la beffarda sentenza cesellata con caratteri d’oro che ci osserva dal quadrante del pendolo, posta per chissà quale bizzarria del mastro orologiaio in un oggetto tanto utile all’esistenza.
Man mano però si fece strada in me un sussulto d’orgoglio, una voglia di riscatto idefinibile e indefinita che cresceva e maturava sempre più. Poi improvvisamente prese forma: presi l’occorrente e cominciai a scrivere le memorie che state ora leggendo. Ma ciò non era ancora sufficiente: non permisi a me stesso di arrendermi e decisi che sarei scappato. Mi sarei calato dal terrazzo e sarei fuggito, dove: poco importava, ma non avrei mai permesso a dei maledetti vigliacchi di prendere la mia vita così facilemente. In questo preciso istante sto scrivendo le ultime righe di queste memorie, mentre osservo l’orrido prondo ad accogliermi. Meglio morire tentando che pentirsene per tutta la vita.”

Il primo raggio di luna sul viso lo richiamò alla realtà come la gentile carezza di un’amante. Radunò rapidamente le sue cose e si preparò per il viaggio di ritorno ma si fermò di colpo appena varcata la soglia della stanza: istintivamente aveva infilato nel mantello il manoscritto contenente le sue memorie. Rimase a lungo incerto se posarlo o tenerlo per se: se nessuno l’aveva trovato in così tanto tempo perché sarebbe dovuto venir rinvenuto in futuro; certo che all’interno del mantello di un vampiro sarebbe stata una prova molto meno credibile da parte di chiunque. Le sue riflessioni vennero interrotte da rumori di passi all’interno dell’edificio: evidentemente la casa era ancora sotto ispezione e le operazioni avevano richiesto molto tempo. Senza ulteriori indugi riprese con sè il vecchio diario e si dileguò dalla finestra come aveva fatto anni prima, ma l’impresa fu molto meno impegnativa. Preferì non perdere ulteriore tempo in scontri futili e per nulla onorevoli e raggiunse il luogo dove aveva lasciato il suo destriero. Purtroppo come era prevedibile c’erano dei soltadi nei paraggi; dopo una rapida ispezione balzò tra i due che facevano la ronda attorno alle mura della cittadella proprio mentre si incrociavano e con un unico preciso fendente li decapitò di netto. Si issò sulla sua cavalcatura e si lanciò al galoppo per arrivare il più rapidamente possibile alla porta ovest che era la meno sorvegliata. Deciso a non ripetere gli errori passati, preferì cercare di convincere le guardie piuttosto che gettarsi avventatamente su di loro, così si avvicinò lentamente ancora in sella come un normale viaggiatore. In totale erano dodici, ben disposte ed equamente divise nei punti strategici.
“Altolà! Dobbiamo ispezionare chiunque esca dalla città.”
“Fate pure, come potete vedere dall’armatura faccio parte di un ordine cavalleresco...”
L’alabardiere, visibilmente impaurito dalla maestosa figura, fece un cenno con la testa e ordinò si spalancare il portone. Poi improvvisamente, come se ragionasse ad alta voce, senza nemmeno nemmeno voltarsi verso il cavaliere, disse:
“Un momento… ma il tuo blasone porta il simbolo di di un ordine che non esiste più da trent’…”
“Sciocco!”
Con un fulmineo movimento l’uomo venne abbattuto, ma gli altri soldati, già allertati dalla frase del compagno, erano pronti a reagire e già due di loro cominciavano faticosamente a richiudere il cancello. Contemporaneamente un corno squillò per richiamare rinforzi, e molti altri gli fecero eco. Il combattimento infuriava e dopo un feroce assalto iniziale Friedrich era costretto a difendersi dai rapidi e simultanei attacchi degli avversari. Lo spettacolo era davvero affascinante: il vampiro sembrava danzare e i suoi sinuosi affondi e stoccate contrastavano con la sua pesante armatura scura; l’esito non era per nulla scontato visto il numero e l’esperienza dei soldati che doveva fronteggiare e la quantità di ferite che aveva riportato nello scontro con il fratello. Dopo l’ennesima guardia abbattuta, le rimanenti cominciarono a temere per la loro vita, ma non indietreggiarono e continuarono nella speranza dei rinforzi. L’entusiasmo del vampiro venne irrimediabilmente smorzato quando sentì un terribile lamento alle sue spalle: due soldati appena giunti avevano trafitto a morte il suo destriero, mentre un inconfondibile rumore di zoccoli presagiva l’imminente arrivo di avversari troppo duri da scinfiggere. Decise quindi di rischiare il tutto per tutto e scattò verso il drappello di cavalieri che lo caricava dalla via principale. Evidentemente sorpreso dal gesto, il precettore indugiò solo un istante, ma ugualmente lo trafisse all’alteza della clavicola. Fu molto sorpreso quando si sentì sollevare di peso e disarcionare..

Ferito gravemente, Friedrich saltò in sella al suo nuovo cavallo e galoppò via verso sud, mentre il crescente scalpitare degli zoccoli alle sue spalle si faceva sempre più vicino…