Titolo: Mr. Vendetta / Sympathy for Mr. Vengeance
Autore: Park Chan-wook
Produzione: Corea del Sud
Trama: Un operai sordomuto coreano ha promesso alla sorella di salvarla
dal male ai reni che la affligge, ma manca un donatore. Per riuscire a
salvarla, dovrà ordire un rapimento.
Commento alla trama:
Iniziamo subito col dire che Mr Vengeance è un titolo che si commenta
da sé. E' infatti la vendetta, un argomento molto caro al cinema
orientale, il tema portante del film. C'è la vendetta cruda e bestiale,
che sa di sangue. C'è quella dettata dall'angoscia. Quella che non si
poteva evitare, andava compiuta. C'è quella dello sfogo emotivo.
Il regista sul perché della vendetta e della ritorsione, è assente alla
rappresentazione dei fatti. Si nota piuttosto il suo intento di voler
mostrare una vendetta "umana". Umana perché insita nell'uomo, fatta di
debolezze. Fatta di casi della vita, di povertà, una vendetta che
esiste perché esiste il dolore, come se di esso fosse una naturale
valvola di sfogo, l'unica possibile in un mondo in cui non si riesce ad
amare tutti, in cui si può amare una, due persone, non di più. Ma umana
anche perché è una vendetta debole, che non arriva al punto. Che
distrugge chi la compie, che dura solo un'istante, e subito viene
ricoperta dalla polvere degli eventi. Siamo agli antipodi rispetto ai
film dei vendicatori tronfi e duri, di quelli che spaccano tutto con
l'esplosione finale, come piacciono a noi (vedi->The Punisher).
Altro tema importante è quello dell'insostituibilità delle persone. E'
senza dubbio sconfortante, nel film, osservare lo svolgersi della
vicenda fra persone che si amano e che hanno bisogno l'uno dell'altro,
in simbiosi totale, isolati dal resto del mondo. E' un affresco della
condizione umana schiva e distante. Il sentimento dell'amore, della
fratellanza è troppo raro ed unico perché sia ripetibile ad libitum.
Ed è proprio in virtù di questo suo essere così prezioso che, una volta
che esso si rompe, all'uomo non resta niente, se non la vendetta. "Tu
sai perché devo farlo".
Da aggiungere il tema del grottesco e del surreale che l'autore sa
rendere con una perizia davvero collaudata. Non solo per le riprese, ma anche per i particolari simbolici -altro
elemento asiatico- che, superando il problema della intraducibilità, si
rendono evidenti anche per i fruitori più distanti dal genere e dalla
cultura orientale. Sono infatti in un numero elevatissimo i riferimenti
e i collegamenti fra le varie parti del film. Quante volte vi capita,
in un film, di dire: "Ecco, ha fatto quella inquadratura, ora succede questo"
e avevate ragione e vi chiedevate se si poteva fare del cinema dove i
chiarimenti e i colpi di scena non erano necessariamente collegati ad
una espressione facciale, ad una parola, ad una frase sopra le righe.
E' invece un meccanismo riuscitissimo quello di Park. Dove un film
medio necessita di un personaggio che spiega al pubblico cosa è
successo in precedenza e cosa sta succedendo adesso, e perché, Park
inserisce un rimando, un gesto. E allora una scena a cui voi non
avevate fatto caso, o non avevate capito, acquista senso e vi incolla
allo schermo. Perché un'altra qualità del film, che ci si creda o meno,
è che nonostante l'elevato grado di silenzio e gravità della pellicola,
essa non annoia, ma tiene sempre alto il livello dell'attenzione. Da un
lato questa è necessaria per la comprensione del film. Dall'altro è
invece mantenuta sempre viva dalla profondità e dalla rapidità degli
eventi, dotati di una spontaneità sorprendente. Il senso della
tragedia, che pervade il film, è offuscato e reso più digeribile da due
elementi. Primo su tutti, l'elevato dettaglio di realismo del film.
Secondo, l'atmosfera grottesca del film, che riesce in qualche modo a
stemperare la pressione (e a dare, almeno a me, anche qualche grassa e
insolita risata...) introducendo al tempo stesso un altro elemento
importante, quello della ineluttabilità. Se infatti le trame dei film
ricorrono con costanza al "colpo di scena" o alla coincidenza fortuita, Mr Vengeance non è da meno, riuscendo però, dove spesso si notano forzature, a trasmettere la necessità che determinati eventi si realizzino individuando (se proprio ce lo si vuole vedere...) una sorta di "principio naturale" sadico e impietoso di leopardiana memoria (e caro alla filosofia buddista).
Un ultimo commento sulle riprese a cui prima accennavo. Sono senza dubbio tra le migliori che abbia ai visto. Mostrano il meglio di un cinema che non segue i canoni
hollywoodiani della ripresa (telecamere fisse e distanti, angolazioni
impossibili) e che riesce a liberarsi del tutto di quel connotato puramente rappresentativo che caratterizza invece la produzione consueta. Se infatti la ripresa "comune" appare solitamente confinata unicamente alla rappresentazione più chiara, tutt'al più soggettiva o introspettiva, quella qui presente è più spesso di connotazione estremamente "naturalistica". Sono riprese fatte talvolta da angoli improbabili, oppure riprese che riprendono un oggetto a cui non si è in reltà interessati, mentre gli eventi importanti accadono sullo sfondo. O ancora, l'oggetto della vicenda sarebbe a fuoco, se non fosse nascosto da qualcos'altro. Sono stratagemmi d'autore per evidenziare la natura estremamente oggettiva, minimalista del regista, che cerca di rappresentare un fatto reale ed evidente senza in alcun modo calcarvi la mano, lasciando che sia l'attenzione dello spettatore - troppo spesso "convogliata a forza" verso l'oggetto di interesse - a interpretare l'evento. In ciò è aiutato, inoltre, dalla grande silenziosità del film, che, se da una parte non si risparmia il suono, quando esso diventa veicolo di sentimento e di dolore, evita dall'altra di appannare con improbabili accompagnamenti sonori non richiesti il tentativo di "naturalizzazione" della vicenda. In fondo, quando mai nella vita reale, una musichetta vi dice che stato d'animo assumere?