Hvergelmirsen Ulfhjem Njordsen
Figlio del mare di ghiaccio, del Lupo Figlio del nord
L’inverno era oramai sceso da diverso tempo e, come sempre, la sua morsa ghiacciata aveva preteso la vita di tutti coloro che si erano dimostrati deboli al suo cospetto, che siano stati vegetali, bestie o uomini.
Il vento spirava feroce quella notte, la neve indurita piombava come macigni sulle teste degli stolti o degli sfortunati che non si erano rifugiati in tempo per evitare quella sventura. Ma il truce canto del Principe del Ghiaccio non era limpido: un pianto, un flebile miagolio soffocato dalla possanza dell’ugola del potente e freddo dio osava pretendere udienza per la prima volta nel mondo dei mortali.
Il pargolo vide la fioca luce di una candela dalle membra di una femmina chiamata Tamara, accolto dalle esperte mani di una vissuta levatrice dai lineamenti scavati.
Gli occhi di Ulf Njordsen, Lupo Figlio del nord, osservavano infervorati dall’eccitazione, mentre la sua bocca non osava proferire parola per non disturbare la tensione del momento.
L’erede della sua stirpe l’aveva finalmente raggiunto.
Era l’ottavo della sua prole: dopo sette vani tentativi di ottenere una progenie maschile, Ulf Njordsen aveva seriamente preso in considerazione l’ipotesi di un qualche arcano sortilegio da parte di una sconosciuta strega, magari commissionato da uno dei suoi non pochi rivali o, peggio ancora, una maledizione divina nei confronti della sua famiglia.
Sacrifici umani avevano riempito i calici di tutti gli altari dei cinque Principi e le sue razzie si erano fatte sempre più spietate e frequenti. L’ira divina doveva essere placata se non voleva assistere alla fine della sua linea di sangue con la sua stessa morte!
E ora, quest’ultima prova. Un figlio nato nel pieno di uno degli inverni più gelidi degli ultimi anni. La prova il cui successo o fallimento avrebbe decretato il destino della sua famiglia e l’onore dei suoi antenati. Una prova, ora, che risiedeva interamente nelle mani del bambino stesso.
Non venne scelto e pronunciato alcun nome per il pargolo, poiché il suo insuccesso sarebbe stato punito con la privazione di ogni rimembranza della sua esistenza. E la mancanza di un nome sarebbe stato il tramite.
Ma il destino arrise alla sorte del nuovo nato, e gli dei furono soddisfatti dei sacrifici del padre.
“Fino a che il tuo mento non presenterà i segni della piena pubertà, tu sarai noto come Hvergelmirsen Ulfhjem Njordsen, Figlio del mare di ghiaccio del Lupo figlio del nord! Ti alleverò secondo la spietata legge degli Agari, diventerai forte e resistente come un orso e le genti tremeranno al tuo solo sguardo!”.
Ulf era orgoglioso. In lui avrebbe infuso tutta la sapienza bellica tramandata da tempi immemori da padre in figlio; il suo spirito sarebbe diventato spietato e freddo come i ghiacci che lo hanno accolto al mondo, la sua volontà impiegabile come il ferro, i suoi muscoli sarebbero stati più duri della roccia e la sua passione di fuoco avrebbe sparso il suo seme nelle femmine dei villaggi di ogni sua futura razzia. La sua stirpe si sarebbe salvata.
Gli anni trascorsero veloci come fiume in piena, travolgendo ogni cosa si fosse trovata lungo il suo percorso. Anche Hvergelmirsen, proprio come quel fiume, crebbe con l’impeto di chi desidera piegare il mondo a sé, passo dopo passo.
Ulf stesso si ritrovò piacevolmente sorpreso nel vedere in prima persona suo figlio, oramai quattordicenne, mentre strangolava a mani nude un vigoroso lupo della tundra. Il manto della bestia, poche ore dopo la sua memorabile uccisione, ornava le spalle e la schiena del giovane, mentre il lungo e digrignante muso pendeva lungo il suo glabro petto.
Giunse così il suo dicissettesimo anno di vita.
Crebbe celermente, a perfetta previsione dei desideri del padre. Membra possenti, dall’imponente e villoso torace, portamento eretto e fiero, occhi azzurri come il cielo ma freddi come il ghiaccio del più rigido degli inverni, pelle rischiarata dalla neve ma dura come il cuoio, viso spigoloso di un impenetrabile volto, una fluente chioma color oro, come le sopracciglia e la riccia barba che gli riempiva la prominente mascella.
La voce tonante come quella di un orso inferocito.
“Figlio, i giorni della fanciullezza sono oramai giunti a loro termine. Io non sono più giovane come quando sei nato, e non ho più nulla da insegnarti. Il tempo degli addestramenti è finito.
Ora sei un uomo, e come tale devi trovarti un posto nella società che compone il nostro clan. Il rispetto si guadagna con le azioni e col tempo, ma non puoi pretendere di raggiungerlo rimanendo qui. Il tuo destino è stato segnato nel momento in cui sei nato, quel brutale inverno di cui onoro la memoria.
Va’, figlio mio. Fatti conoscere dalle genti del continente. Onora gli antenati che mi hanno e ti hanno concesso l’esistenza in questo mondo, seppur per breve tempo, poiché dopo la vita terrena il tuo posto sarà deciso in base alle tue azioni passate. Trova un nome che si confà alle tue imprese, e torna da me e dal tuo popolo solo quando avrai delle gesta degne di rispetto da annoverare accanto al tuo nuovo nome.
E che tu possa onorare tra i cinque Principi coloro che hanno posato i loro divini sguardi sulla tua fortuna, affinché rimangano sempre più estasiati dalle tue gesta!”