Ecco un breve racconto che ho portato ad un concorso su un altro forum. Spero vi piaccia.
Per una lettura compiuta, è necessaria la conoscenza di una parte del BG di warhammer 40K, quindi vi linko una pagina di Wikipedia in cui trovate le info necessarie. Da leggere sono i capitoli 'La crociata e l'eresia' e 'La maledizione'. Ovviamente una lettura completa non è dannosa.
Eccp il link:http://it.wikipedia.org/wiki/Angeli_Sanguinari#La_Crociata_e_L.27Eresia_2
Ma ora bando alle ciance, ecco il racconto...
'Ombre Scarlatte'
Vernice nera.
Sangue.
Ricordo ancora la prima volta che assistetti al rituale. Fui io stesso ad officiare la funzione.
Dieci uomini in piedi di fronte a me. Uomini? Dopo tanti anni continuo a domandarmi se sia questa la parola giusta. Li chiamano in molti modi diversi, su altrettanti mondi. Morituri, diavoli in nero... oppure semplicemente 'I Dannati'. Perché è questo che essi sono. Perché essi sono la Compagnia della Morte.
Ricordo bene quel giorno. Con lentezza raccolsi il pennello dal recipiente di vernice e passai una pesante pennellata nera sull'armatura del soldato di fronte a me. Non dimenticherò mai i suoi occhi. Mi guardavano senza vedermi, persi in un passato lontano. Attorno a me i servitori del capitolo completavano la pittura dell'armatura, finché essa non fu interamente ricoperta di nero.
Passai al secondo confratello. I suoi lineamenti erano distorti da una rabbia eterna, primordiale. Questo è il marchio della tara. Questo il prezzo del nostro lignaggio. Siamo i Figli di Sanguinius, la Furia Nera è la nostra eredità.
Essa è un tarlo, una tentazione latente che in qualunque momento può condurre persino il più temprato dei guerrieri alla follia, costringendolo a rivivere gli ultimi, dolorosi attimi della vita del nostro primarca. Chi ne è affetto diventa un paria, un uomo spezzato fra il presente e visioni del passato. Egli diventa un promesso della morte, un morituro. Un'onorevole fine in battaglia sarà il suo ultimo privilegio. Egli viene separato dai suoi confratelli ed inserito nella compagnia della morte, marcerà in prima linea, portando con sé nell'oblio il maggior numero di nemici possibile.
La sua armatura, un tempo rossa, viene dipinta del colore delle tenebre.
Giunsi infine all'ultimo confratello ed il mio cuore si spezzò.
Enea Corius era stato colui che, selezionandomi fra cento, mi aveva reputato degno di diventare un cappellano dei 'Guardiani Encarmine', il mio capitolo. Mi aveva addestrato nell'arte della guerra, forgiando le mie abilità di neofita. Mi aveva istruito nelle tradizioni del capitolo, rendendo mie le parole del primarca e dei grandi che mi avevano preceduto. Aveva reso la mia fede affilata come una lama e solida come l'acciaio. Fu con grande onore che ricevetti dalle sue mani le nere vesti di iniziato del Reclusium.
Fu poco dopo che Corius iniziò a manifestare i primi segni. Insonnia, freddezza, suscettibilità. Poi iniziarono le visioni.
In breve fu chiaro che il mio maestro, colui che mi aveva insegnato a temere e combattere la tara del nostro sangue, era caduto vittima della Furia Nera.
Lo guardai in volto, per cercare un segno di riconoscimento nel vecchio uomo.
Ma nulla di lui rimaneva negli occhi iniettati di sangue. Abbassai lo sguardo, afflitto da un dolore mai provato.
Intinsi nuovamente il pennello nella vernice nera e passai una pennellata simbolica sull'armatura scura come l'ossidiana del mio mentore. Mentre l'armatura degli altri confratelli era di un rosso cupo e sanguigno, quella dei cappellani era dello stesso nero che tingeva il mio pennello.
Con la caduta di Corius, io ero il membro del reclusium di rango più alto su Carthele V. Il rituale dell'Ultimo Sangue diventava mio compito e dovere.
Mentre tornavo sui miei passi mi chiesi se realmente ci fosse speranza per il nostro capitolo, quando i migliori tra di noi potevano cadere in una follia senza ritorno.
Appoggiai il pennello nella ciotola del colore e afferrai un coltello rituale dal manico in osso.
Poi alzai la mano sinistra e rimossi il guanto corazzato che la copriva. Con un ampio arco portai la fredda lama del coltello contro il palmo. Un rapido scatto ed una linea di rubini scarlatti si formò sulla pelle pallida. Chiusi ed aprii il pugno, facendo scorrere copioso il sangue dalla ferita. Un accolito raccolse in un ampio calice il liquido viscoso.
Poi mi avvicinai al guerriero di fronte a me. Sfilai il guanto dalla sua mano sinistra e incisi il suo palmo, raccogliendo il sangue nello stesso recipiente. Ripetei l'operazione per tutti i confratelli e mi posizionai al centro della fila.
-Il Sangue che scorre nelle nostre vene ci rende fratelli e figli degli stessi peccati. Possa tale legame sopravvivere all'abbraccio della morte e guidare le nostre gesta nell'ultima ora. Che l'Imperatore e Sanguinius veglino su di noi-
Pronunciai queste parole dalle 'Litanie di Sangue', reclinai il capo e bevvi dalla ciotola, ormai colma.
Il potere delle antiche parole e dell'energia contenuta nel sangue scarlatto mi scorse nelle vene come una scarica elettrica. Per un breve attimo l'ombra della Sete Rossa si affacciò ai limiti della mia mente, ma la brama di sangue si infranse come un'onda sulla mia disciplina d'acciaio. Il controllo del desiderio di sangue umano, latente in ognuno dei discendenti di Sanguinius, è uno dei primi requisiti di un Cappellano. In quel momento capii perchè.
Passai la coppa ad ognuno dei confratelli affinché ciascuno facesse lo stesso. Dopo che tutti ebbero bevuto, ripresi la ciotola ancora mezza piena e con un pennello pulito dipinsi una croce scarlatta sullo spallaccio di ciascuno dei guerrieri.
Infine fronteggiai la fila di marines.
-Ave, morituri. Possano le gesta della vostra morte redimere la debolezza della vostra carne. Addio, fratelli. Morite con onore.-
Senza aggiungere altro, mi voltai ed abbandonai la sala.
******
Il land raider su scosso da un colpo violento.
Ignorai il frastuono all'esterno dell corrazzato e continuai a salmodiare.
Attorno a me i fratelli della Compagnia della morte seguivano le mie parole.
-...perchè noi siamo il Suo strumento, la lama della Sua giustizia, la fiamma della Sua purezza...- Era stato Corius ad insegnarmi quelle parole, in un tempo che sembrava appartenere ad un'altra vita.
-… saremo giusti, privi della macchia del disonore...-
Era davvero così? I confratelli della compagnia della morte sarebbero caduti con la rabbia nel cuore e la follia negli occhi.
Poi la luce. Il portellone del land raider si aprì. In un grido agghiacciante i morituri si riversarono all'esterno del veicolo. La morte ed il nemico li attendevano a braccia aperte. Li osservai dal corazzato mentre uccidevano con foga inumana, convinti di star combattendo contro Horus sulla sua nave, in un tempo passato da diecimila anni.
Vennnero feriti, ancora ed ancora, ma continuarono a combattere. I loro corpi, sovraccarichi di adrenalina erano insensibili a qualunque danno inferiore alla morte.
Eppure cadevano, uno ad uno.
Mentre il land raider si allontanava, riuscii a scorgere solo una manciata delle bestie che un tempo chiamavo fratelli.
******
Il crepuscolo cadde sottile sul campo. La fine di un altro giorno per l'Imperatore, il tramonto di un'altra vittoria.
Camminavo come un'ombra frai corpi dei caduti, ripercorrendo lo stesso percorso della giornata. Scorsi poco dopo la prima armatura nera, seguita da molte altre. La Compagnia della Morte aveva incontrato il suo destino.
Mi voltai e con un muto addio feci per tornare all'accampamento.
-Uccidimi...-
Il freddo di quelle parole, di quella voce, mi percorse come un brivido.
Il gelo della lama sotto le mie dita mi accarezzò la pelle.
Ai miei piedi giaceva Corius, il sangue gli sgorgava da decine di ferite; eppure, il corpo del vecchio uomo si rifiutava di morire.
Incontrai i suoi occhi, ormai poco più che un intrico di linee scarlatte. Ma c'era qualcosa, oltre alla rabbia e alla follia. Vidi il dolore di un uomo che sa di aver perso tutto ciò che lo rendeva tale, conscio che la sua mente, prima del suo corpo, ormai ha ben poco di ciò che viene definito umano. La consapevolezza che la morte, unica via di scampo da quell'inferno, aveva eluso il suo abbraccio.
-Padre, uccidimi... ho fallito...-
La voce di Enea risuonò ancora. L'uomo era convinto di trovarsi nell'astronave di Horus, impersonando il suo primarca, Sanguinius, negli attimi della sua morte, là dove si era consumato il duello finale fra l'Imperatore e Horus stesso.
Vide l'Imperatore chinarsi. Il semi-dio lo abbracciò e gli sorrise, come solo un padre sa fare.
-Non hai fallito, figlio mio. Addio...-
Poi il freddo, la pace. Era quindi così la morte? Solo la fredda calma come di una coltre innevata?
Mentre una lama gli trafiggeva il cuore, Corius sorrise.
Mi alzai ed osservai la rossa palla del sole annegare nella pianura. Lentamente la luce si spense e non rimasero che le tenebre.
Enea giaceva riverso ai miei piedi. Dalla bocca, ancora piegata in un sorriso, scorreva un rivolo di sangue, lo stesso sangue che inzuppava la mia lama.
In silenzio, mi voltai.
Una battaglia finiva, mille altre mi attendevano.
Altre morti, altra gloria, altro dolore.
-L'Imperium, alla fine, trionfa sempre-
I soldati amavano questo detto, li faceva sentire più forti, più sicuri.
Ed era vero. Nessuno poteva frenare la macchina da guerra imperiale.
Ma sono gli uomini, a perdere. In guerra, per un soldato, vittoria e sconfitta hanno lo stesso sapore.
Mi avviai verso l'accampamento, i corpi dei caduti erano il mio funebre corteo.
Una battaglia finiva, altre mille in attesa.
Questa è la via che ho scelto, questa la mia vita.
Mentre camminavo nelle ombre, una singola lacrima solcò il mio viso.