Il 12 dicembre del 1969 una bomba ad alto potenziale e di chiara matrice neofascista esplodeva nella Banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano provocando 17 morti e 84 feriti.
Fu l'inizio della strategia della tensione e il preludio alla stagione del terrorismo e dell'eversione in Italia. Nonostante numerosi processi e diverse sentenze, nonostante i colpevoli siano stati chiaramente individuati, per questa strage nessuno ha pagato.
A 42 anni dalla strage, il Comitato Permanente Antifascista contro il terrorismo e per la difesa dell'ordine repubblicano, d'intesa con i Familiari delle Vittime promuove una serie di iniziative non solo per rendere il doveroso tributo di memoria ai caduti, ai feriti ed ai familiari, ma anche per riflettere su una vicenda che presenta ancora troppi lati oscuri, anche per ciò che attiene al ruolo svolto da parti dello Stato.
Vogliamo verità e giustizia, vogliamo che si aprano tutti gli armadi e si svelino tutti i segreti, anche per essere certi che queste tragiche vicende non possano verificarsi mai più.
E inoltre:
Giuseppe Pinelli nasce a Milano nel 1928. Va a lavorare ancora bambino, all'età di 10 anni, come garzone di un fornaio anarchico.
Non ha potuto continuare ad andare a scuola (anche se, a quei tempi, bastava la terza elementare e lui era arrivato fino alla quinta) ma non ha mai rinunciato alla cultura. Da autodidatta legge, si informa, riempie la casa di libri.
La sua compagna, sua moglie, la madre delle sue figlie, Licia, scrive a macchina le tesi di laurea degli studenti.
Nel 1954 diventa ferroviere, di base a Porta Garibaldi. Ed è uno dei referenti del circolo anarchico Ponte della Ghisolfa. Lo conoscono anche in questura. E' lui che va a chiedere i permessi per la manifestazioni, è lui che "parlamenta per conto della piazza con i dirigenti come il commissario Calabresi.
Licia e Giuseppe hanno due figlie: Silvia e Claudia. Tra loro soltanto 17 mesi di differenza.
Una tranquilla famiglia italiana, in una tranquilla città che entra in subbuglio nel '68 con le contestazioni studentesche, infilandosi, poi, nell'autunno caldo nel 1969, alle soglie della crisi economica.
Ma il destino, spesso, porta a delle svolte improvvise. Quella di Giuseppe Pinelli arriva il 12 dicembre 1969. Poco dopo le 16.30 scoppia una bomba alla Banca nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana. Morti e feriti: una strage. Era dai tempi della guerra che non si ricordava una carneficina del genere.
Sono stati gli anarchici. Poche ore dopo gli inquirenti sapevano già dove andare a cercare i colpevoli.
Sono le 19.00 del 12 dicembre quando il commissario Luigi Calabresi invita quell'anarchico che conosce bene, quello che fa il ferroviere e che va in questura per i permessi, a seguirlo proprio lì, con il suo motorino.
Giuseppe Pinelli viene trattenuto in questura per tre giorni, senza garanzie. Ovvero: la presenza di un avvocato, mangiando poco e senza dormire. Sottoposto a continui interrogatori. Gli fanno anche dei saltafossi per farlo confessare. Ma cosa deve confessare Pinelli che ha un alibi di ferro per il pomeriggio del 12.
Uscirà dalla stanza del quarto piano, l'ufficio del commissario Calabresi, dove sono presenti in quel momento 5 persone tra poliziotti e carabinieri, volando dalla finestra verso la mezzanotte del 15 dicembre 1969.
Se ne accorge un giornalista dell'unità, Aldo Palumbo, che mentre attraversa il cortile sente il tonfo del corpo che si schianta a terra.
Il questore Marcello Guida ha cambiato tre versioni: suicidio perché colpevole; un attacco di panico che non sono riusciti a contenere; è caduto accidentalmente.
Le ipotesi si sprecano: ha visto qualcosa che non doveva vedere; si è sentito male e credendolo morto si sono sbarazzati del cadavere; gli hanno assestato un colpo di karaté (troveranno una macchia ovale sul collo, durante l'autopsia).
Una sentenza del 1975 stabilisce che è morto per malore attivo, unico caso al mondo.