Dalla Stampa:
Il tribunale del Riesame ha confermato il sequestro degli impianti a caldo dell'Ilva di Taranto senza concedere la facoltà d'uso, che peraltro - viene sottolineato - non era stato richiesto neppure dai legali del Siderurgico.
Come previsto, sono state rese note oggi le motivazioni del Riesame che il 7 agosto scorso confermò sostanzialmente il decreto di sequestro di sei aree dello stabilimento siderugico Ilva disposto dal gip Patrizia Todisco il 25 luglio. Il tribunale, confermando il sequestro dello stabilimento, dispone che non si continuino a perpetrare i reati contestati nel provvedimento cautelare. Sul percorso da seguire per interrompere i reati, i giudici - viene riferito da fonti giudiziarie - non si sbilanciano e affidano il compito ai custodi nominati dal gip e alla procura. Il provvedimento - notificato all'Ilva - è di circa 120 pagine. Nel dispositivo della propria decisione (depositato il 7 agosto scorso), il tribunale del riesame scriveva: «i custodi garantiscano la sicurezza degli impianti e li utilizzino in funzione della realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo e della attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti».
All'Ilva, secondo i giudici del Riesame, l'obiettivo da raggiungere deve essere quello «di evitare che la libera disponibilità del bene sottoposto a sequestro possa aggravare e protrarre le conseguenze di reati». «Nel caso in specie - proseguono i magistrati - l'obiettivo da perseguire è uno e uno solo ovvero il raggiungimento, il più celermente possibile il risanamento ambientale e l'interruzione delle attività inquinanti». L’Ilva - secondo il tribunale del Riesame - deve, da un lato, eliminare «la fonte delle emissioni inquinanti (con la rimodulazione dei volumi di produzione e della forza occupazionale)», dall’altro «provvedere al mantenimento dell’attività produttiva dello stabilimento», solo dopo averla resa «compatibile» con ambiente e salute.
Secondo i giudici «proprietà e gruppi dirigenti che si sono avvicendati alla guida dell'Ilva hanno continuato a produrre massicciamente nella inosservanza delle norme di sicurezza dettate dalla legge e di quelle prescritte, nello specifico dai provvedimenti autorizzativi». In un'altra parte del loro provvedimento i giudici del Riesame, sullo stesso tema, annotano: «Dalle varie parti dello stabilimento vengono generate emissioni diffuse e fuggitive non adeguatamente quantificate, in modo sostanzialmente incontrollato e in violazione dei precisi obblighi assunti dall'Ilva, nella stessa Aia e nei predetti atti d'intesa, volti a limitare e ridurre la fuoriuscita di polveri e inquinanti». I giudici ritengono che «le emissioni nocive che scaturivano dagli impianti, risultate immediatamente evidenti sin dall'insediamento dell'attuale gruppo dirigente dello stabilimento Ilva di Taranto, avvenuto nel 1995, sono proseguite successivamente», nonostante una condanna definitive per reati ambientali. Inoltre, nonostante i «molteplici» impegni assunti dall'Ilva con le pubbliche amministrazioni per migliorare le prestazioni ambientali del siderurgico, i dirigenti dello stabilimento non hanno mai assolto agli obblighi. Il disastro ambientale doloso prodotto dall'Ilva è «ancora in atto» e «potrà essere rimosso solo con imponenti e onerose misure d'intervento, la cui adozione, non più procrastinabile, porterà all'eliminazione del danno in atto e delle ulteriori conseguenze dannose del reato in tempi molto lunghi». Lo scrive il Riesame.
Alla facciazza di Clini, ministro non dell'ambiente bensì, tra Ilva, trivellazioni e nucleare, dell'inquinamento nonchè di Passera, che pur non essendo ministro di grazia e giustizia si permette al meeting di CF (Comunione e Fatturazione) di pontificare su intercettazioni e separazione delle carriere, forse perchè è indagato pure lui per frode fiscale.