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 Calcio e giurisprudenza: il caso Bosman

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MessaggioTitolo: Calcio e giurisprudenza: il caso Bosman   Calcio e giurisprudenza: il caso Bosman Icon_minitimeGio Nov 15, 2012 5:59 pm

Quando qualche tempo fa cominciai a pensare il tema dell articolo ero indeciso se parlare di sport o di legge. Dopo averci pensato un po sono giunto alla conclusione che forse si poteva trovare un argomento che riguardasse entrambi gli argomenti e quindi mi è venuto in mente in caso Bosman: uno dei casi piu importanti e discussi del mondo calcistico e non solo.
Ho provato a riassumere il caso e a descriverne i punti chiave sia dal punto di vista legale che sportivo evitando di scendere troppo nei tecnicismi che sarebbero probabilmente stati di difficile comprensione. Questo è il risultato, spero vi possa interessare:





1 - La vicenda Bosman in breve

La cosiddetta sentenza Bosman è una decisione presa nel 1995 dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee che consente ai calciatori professionisti aventi cittadinanza dell'Unione Europea di trasferirsi gratuitamente a un altro club alla scadenza del contratto con l'attuale squadra.

La sentenza fu resa rispetto a tre casi legali separati, i quali coinvolgevano tutti il calciatore belga Jean-Marc Bosman:
• La Federazione calcistica del Belgio (Union royale belge des sociétés de football association ASBL) contro Jean-Marc Bosman
• La squadra di calcio Royal Football Club de Liège contro Jean-Marc Bosman ed altri
• L'UEFA contro Jean-Marc Bosman

La sentenza Bosman è il vero e proprio spartiacque dell’evoluzione della posizione del calciatore e dei suoi rapporti con le società sportive. Il caso del calciatore di nazionalità belga Jean-Marc Bosman, è stato sottoposto dalla Corte di Appello di Liegi al giudice comunitario il 1°ottobre 1993 e mirava a rivedere l’interpretazione degli art. 85 e 86 del Trattato CE169.
La questione che Bosman ha proposto alla Corte di Liegi era legata al fatto pratico delle difficoltà di trasferimento dello stesso da una società ad un’altra. Bosman giocava nella Jupiler League, la massima serie belga e il suo contratto era scaduto nel 1990. Il calciatore intendeva cambiare squadra e trasferirsi al Dunkerque, una squadra francese. Il Dunkerque non offrì al club del RFC Liège una contropartita in denaro sufficiente, e la squadra belga rifiutò il trasferimento. Il tutto era reso ancora più difficile dal fatto che la società straniera a lui interessata non avrebbe potuto acquistarlo (a meno che non avesse contestualmente ceduto un proprio giocatore straniero), stante la presenza di norme regolamentari federali limitative del numero dei calciatori stranieri (sia comunitari che extracomunitari) tesserabili.

Fino a metà anni 90 era infatti necessario pagare una sorta di indennità anche a contratto scaduto. Una mostruosità giuridica perché, una volta scaduto il contratto, si consente a chi non è più proprietario (il club) di poter disporre a piacimento di un bene (il giocatore) che ormai non possiede più. E così Jean-Marc, e chiunque sia pagato per prendere a calci una palla, si trova nella condizione assurda di chi è costretto a non svolgere la propria professione perché il via libera per poterla esercitare dipende da un ex datore di lavoro, che però mantiene intatto il potere di non farti lavorare. Presso di sé e presso altri. Una assurdità. Ma una assurdità tollerata da tutto il mondo del calcio, cui evidentemente la cosa non sembra così strana.
Sino a quando il piccolo Bosman decide che quel che gli altri accettano come ineluttabile per lui non lo è: una legge quando è iniqua va cambiata. E così porta il suo caso all'esame della Corte di giustizia europea, forte di ferme convinzioni, di tanto buon senso e dell'educazione ricevuta in una famiglia di operai, pronta al rispetto dei doveri come alla rivendicazione dei diritti.
La carriera di Bosman si interrompe qui: nel 1990 a 26 anni. Ci vorranno cinque anni prima che venga emessa la sentenza del giudice comunitario che gli dà ragione su tutta la linea, riconoscendogli anche un indennizzo di circa 400mila euro. Gliene avrebbero dovuti dare molti di più i suoi colleghi. Si guarderanno bene dal farlo. Né tantomeno gli sarà facile trovare una squadra dove riprendere a giocare.

La "sentenza Bosman" stravolge il sistema di "regole" che fino ad allora aveva governato la "tratta" degli sportivi. Nasce così il "parametro zero". Una formula che racchiude il diritto del giocatore senza contratto di trovare una nuova squadra, senza che alla vecchia sia dovuto alcunché. Non solo. La sentenza va oltre la richieste degli avvocati di Bosman e equipara il mercato calcistico (e sportivo in genere) a qualunque mercato lavorativo comunitario, con la conseguenza che i "tetti" dei giocatori stranieri appartenenti alla Comunità europea non hanno più ragione di esistere. A Bosman e a tutti i calciatori dell'Unione Europea fu permesso di trasferirsi gratuitamente alla fine del loro contratto, nel caso di un trasferimento da un club appartenente a una federazione calcistica dell'Unione Europea a un club appartenente ad un'altra federazione calcistica, sempre dell'Unione Europea. Inoltre, un calciatore può firmare un pre-contratto con un altro club, sempre a titolo gratuito, se il contratto attuale ha una durata residua inferiore o uguale ai sei mesi.

Il 21 aprile del 2005 le 52 federazioni aderenti all'UEFA hanno approvato all'unanimità una regola volta ad aumentare il numero di calciatori allenati nel proprio paese. La misura è un tentativo di combattere alcuni degli effetti della sentenza Bosman.


2 - La sentenza

Con sentenza 15 dicembre 1995170, la Corte di Giustizia, dando ragione a Bosman, ha stabilito due principi cardine dell’ordinamento sportivo attuale, ovvero:
a) l’illegittimità delle norme dei regolamenti federali che prevedevano limiti al tesseramento ed all’utilizzazione di un certo numero di calciatori comunitari (in quanto essi non potevano essere considerati “stranieri” nei Paesi comunitari), per violazione del principio di cui all’ art 48 del Trattato CEE (ora art. 39 del Trattato di Amsterdam) che stabilisce il principio della libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’ Unione Europe
b) l’illegittimità delle norme dei regolamenti federali che prevedevano che le società avevano diritto all’indennità di preparazione e promozione derivante dalla cessione di un proprio calciatore ad un’altra società, anche dopo la scadenza del rapporto contrattuale che legava il calciatore alla propria società, per violazione del principio di libera circolazione dei lavoratori nell’ambito della CEE, previsto dall’art 48 del Trattato CEE (ora art. 39). In precedenza era infatti necessario versare un indennizzo anche a contratto scaduto.

Nel corso del processo , la UEFA ha sviluppato l’argomento che le autorità comunitarie hanno rispettato generalmente l'autonomia dell’attività sportiva, nella quale è molto difficile scindere gli aspetti economici da quelli prettamente sportivi, rilevando che una pronuncia della Corte di Giustizia sullo stato giuridico degli sportivi professionisti e in particolare sulla liberalizzazione dei trasferimenti da uno Stato dell’Unione Europea all’altro rimetterebbe in discussione l’intera organizzazione del mondo del calcio. Da qui, come si legge nella sentenza, la pretesa che nell’applicazione ai calciatori professionisti dell’art.48 del Trattato sia necessario “attenersi ai criteri di elasticità in considerazione della specificità di tale attività sportiva” .
La Corte di Giustizia ha respinto in modo deciso gli argomenti avanzati dalla UEFA e ha stabilito che le norme sulla libera circolazione non ostano a normative o prassi restrittive giustificate da motivi non economici: l’autonomia dell’ordinamento sportivo non può quindi significare impermeabilità totale rispetto all’ordinamento generale.

Il principio della libera circolazione dei lavoratori (art.48 del Trattato C.E.), sul quale si fonda il dispositivo della sentenza Bosman, costituisce quindi uno degli assi portanti della stessa nozione di mercato comune e in quanto tale “non tollera attenuazioni o eccezioni”. Stando alla Corte di Giustizia quindi, il giocatore professionista che entra a far parte dell’ordinamento speciale sportivo, non può, subire una limitazione così grave a un diritto fondamentale attribuitogli direttamente dal Trattato.

Qui potete trovare il testo completo della sentenza che non ho riportato per evidenti motivi di lungaggine: http://www.colucci.eu/Sentenza%20Bosman.pdf


3 - L'importanza e le conseguenza della sentenza Bosman

La sentenza Bosman ha non solo un valore vincolante per le parti del giudizio, ma anche indirettamente, un’efficacia erga omnes, (che, in soldini, significa che i giudici nazionali sono vincolati ad interpretare il Trattato nel senso indicato dalla Corte europea).
Quanto alla efficacia sportiva della sentenza Bosman, ovvero a quali discipline sportive e a quali livelli essa vada applicata, la Corte chiarisce
che i principi della sono da applicare a tutto lo sport professionistico o semiprofessionistico (quindi a tutti i giocatori retribuiti: l’attività sportiva è infatti è configurabile come attività economica ai sensi dell’ art. 2 del Trattato). La dottrina e la giurisprudenza successiva ha confermato l’applicabilità generale della sentenza a tutte le discipline sportive ed a qualsiasi livello.

La sentenza in questione, oltre a garantire la libera circolazione dei calciatori comunitari in ambito comunitario, ha soprattutto determinato quella che storicamente è stata l’innovazione di maggiore portata nella evoluzione della posizione del calciatore,
in quanto, dichiarando l’illegittimità delle norme federali che prevedevano il pagamento di un’indennità per i trasferimenti tra società del calciatore anche dopo la scadenza del relativo contratto, ha sostanzialmente sancito il passaggio ad un regime contrattuale “puro”, garantendo un effettivo svincolo al calciatore il cui contratto con la società sia scaduto, con l’effetto per questo, a scadenza di contratto, di potersi liberamente trasferire (senza che avvenga alcuna cessione) alla società che gli fa l’offerta migliore, la quale dovrà pagare soltanto l’ingaggio al calciatore e non dovrà pagare alcun prezzo di trasferimento, né soggettivamente, né oggettivamente determinato, alla sua precedente società184.
Negli anni successivi alla sentenza, le società hanno dovuto rivedere i contratti dei propri giocatori e allungarne la durata al fine sostanzialmente di “blindare” i propri calciatori (almeno quelli con un certo “valore di mercato). Lla posizione contrattuale del calciatore è inevitabilmente molto più forte di prima, in quanto ,durante la vigenza del contratto, egli si trova garantito da tale contratto pluriennale, mentre alla scadenza, egli può andare liberamente (cioè senza
problemi di accordo tra le società sul prezzo del suo trasferimento) alla società che gli propone la miglior offerta contrattuale185.
La stessa dottrina, ha sostenuto che rispetto al diritto comunitario devono ritenersi illegittime tutte quelle norme che subordinino il trasferimento di un’atleta cittadino UE da una società all’altra al pagamento di un’indennità di formazione e promozione, sia nell’ipotesi in cui questo avvenga a contratto scaduto, sia in quella di trasferimento in pendenza di contratto.
Si è arrivati quindi al c.d. Accordo di Bruxelles, approvato dall’ Unione Europea il 5 marzo 2001 e vincolante per tutti gli Stati membri della U.E. L’accordo prevede innanzitutto una indennità di formazione a favore di tutti i club (e non solo quindi l’ultimo club in ordine cronologico) che hanno contribuito alla formazione dei giovani calciatori nel periodo che va tra i 12 e i 23 anni.
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