Ecco il racconto di Zorn, lo pubblico io visto che pare sia in vacanza.
Buona lettura a Voi.
"un, due, tre..."
Luccini splendeva beata in quella giornata afosa d'estate. Fra lo schiamazzo generale di mercanti e perdigiorno, si poteva udire un allegro canticchiare, sereno come il sole del mezzogiorno.
“Un, due, tre... Un, due, tre...”
L'allegra ballata sulle labbra, il bel cappello, marciava, con aria baldanzosa, il nostro giovane rampollo. Il petto gonfio d'esuberanti ardori, il pensiero alle serate, ormai lontane, d'una città rimembrata troppo irridente, secondo il suo ingenuo parere, del fosco passato celato dietro maschere felici. Rolando era il suo nome, ma pochi lo conoscevano se non per l'infinità di appellativi e nomignoli che gli cuciva addosso il suo mestiere.
D'altra parte, in groppa ad un pigro ronzino, di Bretonnia lo scudiero.
Pièrre De Beauville lo chiamavano, giovane errante in caccia di glorie e lauti compensi. La sua, più che una ricerca, era un mesto vagabondare di luogo in luogo, unico amico; l'inseparabile giumento.
Dal terreno, sabbioso, arido, si levavan ad ogni passo turbinii di polvere, presto dissolti dalle costanti folate d'un indifferente ponente. I loro occhi s'incontrarono in un sol sguardo; determinato, presuntuoso. Lo stesso sguardo che, forse un po' troppo ardito, il giorno prima portò al diverbio. E quest'oggi, come dimostravan i numerosi spettatori che si raccoglievan attorno ai due, la risoluzione dell'impulsivo scontro.
Mise piede a terra con eleganza, il cavaliere dalla ricciuta chioma. L'inchino dell'altro damerino, quasi a scherno, portò curvo il busto, non prima d'aver sventolato, con fare pletorico, l'indumento pregiato ornato da una smisurata piuma candida come le lenzuola d'un re.
“En guard!” Non perse tempo dunque, il portatore del giglio. Al pronunciar tali parole estrasse la lunga spada, la fattura pregiata. Il gesto quasi avventato e l'idioma certamente fiero tradivano la giovane età.
Una risata trattenuta a stento, la risposta. Rolando, malizioso truffaldino, si dipinse sicuro e sfrontato, convinto di riuscir a guadagnare, almeno in parte, vantaggio nello scontro sfruttando a suo favore l'esperienza del vissuto. Sperava sopratutto d'intimorire il giovane galletto; coraggioso quanto inesperto.
Attorno, non s'udiva il concitato mormorio della marmaglia se non qualcuno che, tra le fila sciatte, intentò un grido d'incitamento, subito strozzato dal lesto avvio dello scontro.
Il rumore del cozzare dei ferri riempiva l'udito degli spettatori, ora ritmico ora disarmonico. Insidiosa la daga mossa dal tileano, che faticava a tener a bada la vigorosa sferzata del ricciolino. Stizzito e preoccupato ora, Rolando, che della giovinezza gli era rimasto ben poco. Passo dopo passo infatti, cedeva terreno al cavaliere, sempre più deciso, sempre più certo, e sempre più incauto. Nonostante le numerose aperture del bretone, la veemenza con la quale portava i suoi colpi impediva ogni tipo di contrattacco. L'esile daga oltretutto, poco si prestava a contenere il pesante spadone.
Factotum, di nome e di fatto, Rolando cercava di racimolare la freddezza necessaria all'unico stratagemma che gli avrebbe, forse, concesso la vittoria: la magia!
Pièrre non si rese neanche conto del viso crucciato nello sforzo del suo avversario. Affaticato pareva, certo, ma non solo per la scherma. I perniciosi venti d'altronde, richiedevano inossidabile concentrazione.
Ecco! Il bardo di Tilea quasi assorto, un sorriso al sentir scorrere il potere in lui. Un visaccio invece, quello dell'opponente che vide decuplicata la daga mossa da Rolando. Scoraggiato il ricciolino, ora goffo, ora impaurito, dall'arte a lui sconosciuta.
“Un.” Aggraziata la schivata. Incaponito nel suo onore, il cavaliere non s'accorse neanche dell'indebito trucchetto di modesta fattura, esaustiva comunque, a sortir sperato effetto.
“Due.” Minaccioso, si portò sul fianco scoperto dell'avversario. Lieto, Rolando, d'aver appreso i segreti dei venti magici dal suo mentore.
“Tre!” Fulmineo l'affondo, spietato l'esito. Contratto in una smorfia di dolore, il volto sbarbato. Al vento i capelli, trascinati dal corpo cascante. Giaceva immobile, il peregrino errante!
Quasi pareva dormire, beato, su quel lenzuolo scarlatto.
La gente, più che concedere un meritato plauso, s'avventò sul corpo ancora accalorato di Pièrre a depredare le sue esigue ricchezze, non di certo a regalargli degna sepoltura.
Di fronte alla pietosa scenetta Rolando fece spallucce e girò i tacchi, pur non sapendo dov'andare di preciso. Dispiaciuto era, certo, ma non al punto dal scavargli la fossa! Piuttosto preferì dedicargli la sua ballata preferita. Così si diresse, portato dai suoi piedi stanchi, verso la prima bettola dotata di cibo e gentildonne a ragionato prezzo, canticchiando nuovamente con fare allegro.
“Un, deux, trois... Un, duex, trois...”