Cronaca delle avventure di Hvergelmirsen Ulfhjem Njordsen

"Mio popolo prima abitare villaggi in terre qui. Noi coltivare, crescere animali. Ma teste di cavallo venire e volere sempre nostre donne, nostro cibo, nostri animali. Sempre più. Noi fuggire da terre, andare in bosco e su montagna e abitare lì - indicò lontano, un punto a metà tra il bosco e la montagna dietro di essa. - Teste di cavallo paura in bosco e non salire montagna. Noi sicuri lì, ma terra dura e poca erba per animali."
Indicò poi con lo sguardo la corda che li teneva legati. "Se tu liberare noi, noi dare te cibo e pelli per viaggiare."

"Mi va bene."
Senza aggiungere altro, diede un'asciata alla parte posteriore della corda che teneva legati i polsi e il corpo dei due ex prigionieri.
Si rivolse nuovamente all'uomo: "Non ho intenzione di nuocervi, ma desidero conoscere il vostro popolo."
"Non mi conviene approfittare della femmina ora... voglio tenermeli buoni per il momento. Le mie pulsioni le terrò ancora a freno fino a che non ne avrò a disposizione una più appetibile, sempre se il villaggio di questi due ne sappia offrire. Altrimenti..."
Un sorriso maligno e malizioso solcò le sue labbra screpolate dal freddo.

"Rubus sicuro tu grande guerriero e non animale come teste di cavallo" disse l'uomo massaggiandosi i polsi. La ragazza stette ferma per qualche momento poi si diresse verso l'uomo che era stato usato per il tiro al bersaglio. Lo zio, se Hvergelmirsen aveva capito correttamente il loro grado di parentela, vedendola aggiunse: "Noi vedere come stare Madur ma non credere in bene. Tu prendere tutto di teste di cavallo che volere. Diritto ha tu di farlo se tu volere o tuo popolo usare. Se tu prendere cavalli mia gente servire e noi pagare tu per animali."

Il giovane annuì scontrosamente, per dare uno sguardo all'accampamento dei Narr.
"Inutile affannarsi a far capire loro che non ho bisogno certo del loro permesso per depredare questo posto..."
"Voi rimanere qui, io cercare cose e cavalli."

Si mise così di buona lena a mettere a soqquadro l'interno della tenda e a perquisire i dintorni...

L'agaro fu stupito dalla quantità di oggetti che i nomadi portavano con sé. Il suo bagaglio gli parve ben misero ed essenziale a confronto.
In ogni tenda vi era infatti un piccolo tappeto, due pesanti sacchi a pelo di pelle di pecora arrotolati ed una o due rozze coperte di lana, in due di esse trovò dei corti bastoni d'osso lavorati che identificò come una sorta di strumenti musicali a bocca mentre nella terza trovò un balteo con un set di quattro coltelli di ferro le cui forme gli suggerirono che fossero stati concepiti per scuoiare e conciare le pelli.
In ogni tenda vi erano inoltre uno o due sacchetti con strisce di carne salata, abbastanza per nutrire generosamente un uomo della sua taglia per più di una luna. Ognuno dei nomadi portava poi una sciabola, un arco caratteristico del loro popolo e una faretra con parecchie frecce. Frugandoli il giovane trovò parecchie monete di rame e di ferro, vari ninnoli privi di valore ma anche due medaglioni di rame e un piccolo ciondolo d'argento a forma di stella ed oltre questi 9 coltelli: tre d'osso, due di ferro e quattro di bronzo, tutti lunghi quasi come daghe. Nei pressi del focolare vi erano poi due pentole di metallo ed un paio di lunghi spiedi di ferro.
I pony erano un po' infastiditi dall'odore di morte che via via si faceva più forte ma non sembravano ancora folli di paura. Erano tutti sellati e più di metà avevano sotto la sella altre strisce di carne lasciate a macerare.
I due umani che aveva liberato nel frattempo avevano slegato l'uomo che era stato usato come bersaglio ora la ragazza piangeva sommessamente mentre lo zio, tenendogli la testa del cadavere un po' alzata intonava una specie di litania che a Hvergelmirsen fece pensare a quella che veniva recitata dal suo popolo per far si che il Principe del Ghiaccio non si impadronisse dello spirito di una persona che non era morta in battaglia.

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nello specifico le monete sono 34 di rame e 57 di ferro. Ci sono poi strisce di carne a sufficienza per sfamarti per 43 giorni.

Recuperò un paio di coltelli da conciatore, i monili di valore, le monete e tutto il cibo da viaggio; poi, uscì dalla tenda.
"Cavalli portare noi a vostro villaggio. Voi pagare me per cavalli. Fate veloce con corpo."

L'uomo si avvicinò a Hvergelmirsen e gli disse: "Madur non vivere più. Io sapere che io chiedere te molto e tu nessun obbligo avere noi e invece noi già avere debito te, ma lasciare qui teste di cavallo morte e campo potrebbe portare altre teste di cavallo e morte a nostro villaggio. Meglio essere se noi nascondere tutto in bosco."

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"Me questo stare bene. Ora noi portare corpi in bosco e voi portare vostro parente in vostro clan, se voi volere. Ora noi fare veloce!"
Si apprestò quindi ad avvolgere i corpi mutilati dalla sua ascia all'interno dei sacchi a pelo della tenda, onde attutire il fetore del sangue e della loro imminente decomposizione, per poi caricarli a cavallo.
"Voi aiutare me, muovere!"

I pony, probabilmente già abituati a spargimenti di sangue tra i Narr a cui erano legati non fecero eccessivi capricci quando furono caricati coi corpi dei loro ex-padroni e gli avanzi del campo. Farli muovere fu però più laborioso e richiese buona parte della pazienza di Hvergelmirsen. Guidarli poi nel bosco rese la loro avanzata lenta e tortuosa. Non avevano percorso infatti nemmeno mille passi dal margine del bosco quando il sole tramontò del tutto lasciando loro come unica fonte di luce quei pochi tenui raggi di luna che filtravano negli angusti spazi tra le pungenti chiome degli alberi.

"Mancare ancora molto a vostro clan? Voi dire e io decidere."
Hvergelmirsen poco sopportava i rallentamenti causati da esterni, specialmente se da stranieri con i quali poco aveva a che fare. Ma il desiderio di un lauto riscatto teneva a freno gli sfoghi delle sue insofferenze.
Di tanto in tanto si guardava attorno onde trovare un nascondiglio ove riporre -e possibilmente bruciare o rendere irriconoscibili- i corpi.

"Noi fare come tu volere ma tu non arrabbiare e uccidere noi!" disse l'uomo agitando nervosamente le mani a palmo aperto in segno di scusa e sottomissione: "Io solo consigliare perché conoscere terra e cose qui, ma tu comandare e noi fare quello tu dire!" e si avviò subito verso uno dei pony per slegare il corpo che vi avevano legato.

Anche Hvergelmirsen non stette con le mani in mano. Si fidava di loro, e sapeva che non avrebbero mai osato fuggire per timore della sua ira. Almeno così pensava.

Fu una cosa laboriosa: prima di potersi accampare dovettero trovare una radura abbastanza grande da non minacciare il bosco col fuoco e furono pronti solo a notte inoltrata. Il fuoco consumò rapidamente i corpi avvolti nei sacchi a pelo ed il fumo si disperse invisibile nel buio della notte. L'odore della carne bruciata fu attutito da quello della lana e dalla sapiente aggiunta di alcuni rami di un qualche albero dalla corteccia molto aromatica effettuata dallo zio della ragazza.
"Volere armi teste di cavallo per tu o noi buttare in albero morto cavo io vedere qui vicino?" chiese quindi l'uomo.

"Io no sapere cosa fare di armi. Noi tenere armi fino arrivati a vostro clan. Se noi lasciare armi qui, e teste-di-cavallo trovare loro armi, teste-di-cavallo cercare noi. Corpi bruciati perchè teste-di-cavallo no conoscere loro e no cercare noi perchè loro no sapere che noi ucciso loro fratelli. Ora tu tenere uno arma solo per difendere da pericoli. Altre dare me. E tu dire me di tuo clan, io volere sapere. Io crede che tu zitto molto tanto."
Ogni volta che rivolgeva loro la parola, il suo sguardo e le sue considerazioni erano rivolte sempre all'uomo. La ragazza aveva perso qualsiasi importanza, almeno per il momento.

L'uomo annuì all'affermazione di Hvergelmirsen riguardo le armi e disse: "Vero. Tu essere molto..." e concluse la frase con una parola della lingua commerciale di cui l'agaro non conosceva il significato ma che evidentemente era un complimento, probabilmente alla sua intelligenza.
Dopo aver preso una sciabola per sé e consegnato le altre armi all'agaro l'uomo prosegui: "Io dire te prima che noi fuggire da terre aperte... pianure... perché teste di cavallo rubare noi tutto cibo e prendere nostre donne, ora noi vivere in bosco alto, sotto montagne ma terra dura, poco crescere. Noi raccogliere cibo bosco dare e cacciare animali. Noi pochi e avere abbastanza che fare vivere. Noi non guerrieri come tu, tu molto forte cinque battere e nemmeno ferire, noi sapere lavorare terra, pelli, ossa e vetro di drago"

Con fare inespressivo, il giovane annì. Poi cambiò decisametne discorso:
"Io fare guardia, poi io svegliare te e tu fare guardia e io dormire."
Alchè si sedette a conteplare l'oscurità, interrotta in lontananza da ciò che rimaneva dei focolai dei corpi.

Zio e nipote si misero vicini e cercarono di dormire mentre l'agaro vegliava pronto a fronteggiare eventuali ma improbabili minacce. Il suo turno di guardia passò tranquillo, accompagnato solo dai rumori del bosco tipici della notte e a cui Hvergelmirsen si era abituato durante la sua precedente permanenza nel grande bosco più a sud.

Quando ritenne di aver atteso fino a metà nottata, svegliò non bruscamente l'uomo per il cambio, senza proferire parola per non creare troppo rumore.

L'uomo protese per un momento la mano verso la spada, poi si rese conto che era tutto a posto e annuì invitando l'agaro a coricarsi e si mise di guardia.
Non fece scherzi e non vi furono inconvenienti durante la restante parte della notte.
Il mattino dopo si rimisero in cammino e arrancarono su per le colline boscose dirigendosi sempre più verso le montagne per circa mezza giornata.
Era quasi mezzodì quando Rubus gli si avvicinò.
"Tu scusare se io dire ma meglio io precedere voi. Popolo villaggio potere vedere noi pensare tu nemico. Io non volere loro tirare frecce te, fare arrabbiare e tu uccidere loro. Se io potere io avviare. Io potere?"

Il giovane annuì nuovamente col il suo siloto fare burbero ed inespressivo, poi aggiunse:
"Tu fare scherzi e io aprire tu come porco."

L'uomo rispose timidamente "Io non scherzare te. Io vedere tu portare molta morte se volere e Rubus non volere morire. Tu tranquillo."
Poi si mosse e scomparve tra gli alberi.
Non ci mise molto a tornare e quando lo fece era in compagnia di un altro uomo, apparentemente più giovane, vestito con una casacca di pelliccia e dei pantaloni di cuoio spesso. questi portava al fianco un lungo coltello e impugnava un arco simile a quello dei nomadi.
I due si avvicinarono e quando furono vicini abbastanza Rubus presentò il giovane a Hvergelmirsen: "Lui Waltor, sentinella. Lui - indicò l'agaro al giovane nuovo arrivato - grande guerriero salvare noi, uccidere cinque teste di cavallo."
Waltor fischiò come a esprimere stupore ed apprezzamento poi disse: "Tu grande guerriero! Io volere essere te! Ora voi venire mangiare, scaldare, riposare..." e indicò verso le montagne, probabilmente in direzione del villaggio.

Questa volta i sensi di Hvergelmirsen stettero maggiormente in allerta, più del viaggio affrontato per arrivare sin lì. Nonostante una parte di sè si fidasse della buona fede di quei miseri omini, un'altra lo rendeva vigile poichè, anche se apparentemente deboli, un buon numero di avversari poteva avere la meglio anche contro un avversario temibile come lui.
"Bene, io seguire."

Il villaggio, se così si potevano chiamare cinque case addossate al fianco della montagna, non risultò essere lontano e avere un'altra persona che aiutasse a condurre i pony riuscì ad accelerare un po' la loro andatura.
Le case erano costruzioni di pietra con tetti di legno costruite su un enorme gradino di roccia e addossate ad un unica parete rocciosa.
Nonostante il gradino fosse alto quasi 10 passi le case erano rimaste nascoste alla vista fino a pochi momenti prima di arrivarvi vicino a causa degli alti alberi che avevano davanti.
Quando arrivarono videro una decina di persone stavano lavorando intorno ad alcuni tavoli di legno appoggiati alla parete del gradino di roccia.
Alcune di loro si girarono verso i nuovi venuti e li additarono, ma poi Waltor disse qualcosa loro ad alta voce nella loro lingua e questi lasciarono tutto e con fare molto amichevole si avvicinarono all'agaro e ai due uomini che aveva liberato. Guardandosi intorno Hvergelmirsen notò che anche altre persone si erano affacciate da sopra il gradino di roccia e li stavano salutando. Ma quello che lo colpì era uno degli uomini che si stavano avvicinando perché non somigliava affatto agli altri umani: era basso e tarchiato come un nomade, ma la sua pelle era chiara quasi come quella dell'agaro. In mezzo a tante parole dette che non capiva questi lo sorprese parlandogli nella sua lingua: "Salute a te Principe! Ti stanno onorando raccontando quanto sei stato forte e valoroso per averli salvati da solo da ben cinque teste di cavallo. Se vuoi dire loro qualcosa sarò ben felice di tradurre nella loro lingua." La sua parlata era un po' incerta e l'accento vagamente raschiante ma di certo era infinitamente meglio che parlare nella lingua del baratto che Hvergelmirsen consceva appena.