Cronaca delle avventure di Hvergelmirsen Ulfhjem Njordsen

Hvergelmirsen fu sorpreso dalla visione di quell'uomo e dalle sue parole.
Abbandonò ogni barlume di riservatezza, sentendosi così decisamente a suo agio:
"Perchè tu hai la pelle chiara come i ghiacci delle lande da dove provengo? E come mai conosci la mia lingua?"
"Che sia il figlio di un agaro e di un indigeno? Presenta entrambi i tratti... Sono curioso."

"Mio padre, uno del tuo popolo, prese mia madre dopo una razzia a dei pastori Narr ed io ho vissuto alcuni anni della mia infanzia insieme alla gente del tuo popolo..."
Rubus lo interruppe dicendogli qualcosa nella loro lingua e il mezzosangue annuì. "Rubus dice che loro vanno a fare il rito di Ritorno alla Terra per Madur altrimenti il suo spirito non troverà più riposo. Ti prega di attendere Besamor, è lui che comanda qui, per contrattare con lui un compenso adeguato e il prezzo dei pony. Perché nel frattempo non vieni a casa mia, ti offrirò un po' di sakda fatta come la faceva mia madre che ha imparato dalle donne del tuo popolo, sarà piacevole parlare con un vero guerriero - poi a voce più bassa aggiunse - perché come hai visto gli abitanti di questo posto sono dei conigli senza coraggio..."

"E sia! Voglio assaggiare qualcosa di saporito, dopo tutto questo tempo di carne semicruda! Fai strada, ti seguo!"
Poi, incalzò subito con una richiesta:
"Appena entrati vorrei che tu mi parlassi di questo popolo e delle sue usanze. Sono curioso, mezzosangue."

"Naturalmente." disse il giovane mezzosangue e condusse l'agaro lungo una ripida salita scavata nella roccia che permetteva di superare il dislivello dell'enorme gradino. La sua casa era l'ultima e la più piccola delle cinque. Ai lati dell'entrata vi erano delle pelli stese su telai fatti con rami d'albero. Il giovane scostò una pesante tenda di cuoio verniciato e lui e Hvergelmirsen entrarono. La casa era un unico ambiente non molto grande con un camino di fronte all'ingresso. Il mobilio era spartano: un giaciglio, una credenza alta 3 piedi addossata alla parete che faceva anche da tavolo e vicino a cui vi erano un paio di rozze sedie. Un'altra tenda di cuoio, simile a quella dell'ingresso copriva una rientranza sulla parete a destra entrando, probabilmente una scaffalatura. L'unica fonte di luce, a parte la porta, era una finestra aperta nella parete di sinistra che affacciava sul gradino di roccia.
Il giovane smosse una delle sedie e fece cenno a Hvergelmirsen di sedersi, poi aprì la credenza, prese una fiasca di cuoio e la porse all'agaro.
Si sedette e iniziò a parlare, dando l'opportunità all'agaro di ascoltare mentre beveva.
"Molte generazioni fa le pianure che circondavano questo bosco erano punteggiate di villaggi di contadini. Al tempo di Occhi di Stelle i Narr iniziarono a chiedere regolarmente loro dei tributi, poi quando le tribù tornarono nelle loro terre dalla grande migrazione che lo sciamano aveva profetizzato questi tributi divennero via via più consistenti e quando l'alleanza che era nata sotto la guida di Occhi di Stelle si sbriciolò per la miopia e l'ingordigia dei capi iniziarono soprusi ed angherie: i raccolti venivano praticamente confiscati, le donne violentate o rapite per farne schiave ed ogni minimo accenno di ribellione era punito con la morte. Alcuni villaggi furono bruciati, altri via via abbandonati. Molti contadini fuggirono di nuovo verso nord, tornando dall'oppressore che avevano sperato di evitare. Agli uomini che abitano questo villaggio mancò il coraggio per fuggire verso nord e quindi si rifugiarono nella foresta e si stabilirono qui dove ti trovi ora. E fu in questo bosco che io e mia madre li incontrammo."

Sorseggiando la bevanda, decentemente apprezzabile secondo i suoi gusti, aggiunse incuriosito:
"Sperate di rimanere vivi per lungo tempo rintanati qui? I Narr sono cacciatori naturali, se volessero potrebbero sterminarvi tutti come pollame! Probabilmente di notte, quando meno ve lo aspettate... oppure di giorno, sopraffacendovi per agilità, esperienza e tecnica. I loro archi sono micidiali, persino io avrei da indugiare, almeno in un primo momento. Ringraziate i vostri dei se loro non si sono ancora decisi a divertirsi con voi."

"Io sono stato allevato tra la gente del tuo popolo e penso che voi siate guerrieri ben più forti come tu hai ben dimostrato salvando Rubus e sua nipote, ma hai ragione, basterebbero anche due orsi delle montagne a far tremare la gente di Lafonte, che è il nome del posto dove ci troviamo ora."
Poi indicò verso l'esterno, forse additando il cielo o forse il bosco e continuò: "Mia madre mi diceva sempre però che in questo posto saremmo stati abbastanza al sicuro dai Narr, la sua gente, perché questi amano gli spazi aperti dove possono muoversi liberamente a cavallo e dove il loro modo di combattere è molto efficace ma temono i boschi dove la visuale è limitata e così l'uso degli archi. C'è poi una specie di intolleranza quasi fisica a luoghi come questo - il mezzosangue indicò il bosco - tant'é che mia madre soffrì sempre molto il nostro esilio qui e, credo ne morì poco dopo la quarta venuta del Freddo da quando ci eravamo stabiliti qui."
Lo sguardo dell'uomo si fece triste: "Lei si rammaricava molto che io non avessi avuto la possibilità di imparare a combattere da mio padre, che anche era un principe del tuo popolo, e di non aver trovato nessun valido combattente a Lafonte da cui io potessi imparare. Certo mi ha insegnato a lavorare le pelli e i rudimenti per fabbricare archi, ma questi non sono mestieri da guerriero."
"Oh ti chiedo scusa, sono un pessimo ospite, non ti ho detto nemmeno il mio nome: io sono Orunarf figlio di Fargradol"

Alle presentazioni il giovane si fece tronfio, sbattè il bicchiere sul tavolo e passò virilmente il braccio sulla bocca per asciugarla dalla bevanda:
"Orunarf figlio di Fargrado, bene. Il mio nome è Hvergelmirsen, figlio di Ulf Njordsen. Da tempo girovago verso nord, in cerca di fama, ricchezze e gloria..."
Poi, un sorriso malizioso solcò le sue guance parzialmente occultate dalla barba, fattasi decisamente più folta dalla sua partenza dal clan, mentre le dita scorrevano lungo gli ornamenti del suo elmo posato sul tavolo appena entrato nel rifugio:
"...e devo dire che i 'rallentamenti' trovati durante il mio viaggio non sono stati affatto improduttivi."
Finì la sakda con un sorso, facendone colare in parte lungo i baffi e la barba, per poi reclamarne dell'altra:
"Ancora! Ne voglio ancora!"

"E' bello trovare qualcuno che sappia apprezzarla." Disse. Poi aprì nuovamente la credenza e dopo avervi scavato un po' dentro tirò fuori una brocca di peltro dall'aria malandata, ma ben sigillata con un sughero e della cera.
"Io sono stufo di restare qui in questo villaggio, aspettando che prima o poi gli stenti o i Narr ci facciano fuori... Mi lasceresti venire con te al nord? Non sono molto bravo a combattere ma posso imparare, però so lavorare bene le pelli, conosco varie lingue, potrei farti da interprete... Ti tributerei lo stesso rispetto di un Principe degli Agari, visto che sei di sicuro tanto forte da poterlo essere, e farei tutto ciò che mi comandi"

Non fece in tempo a portare il bicchiere nuovamente colmo alla bocca, che la frase lo interruppe bruscamente.
"Non vado in giro a fare da balia a chicchessia, mezzosangue."
Poi, volendo cercare un po' di divertimento dall'omino davanti a lui, aggrottò le folte sopracciglia.
Passarono diversi minuti di silenzio prima che si pronunciò definitivamente:
"Portami le cuoia di un lupo che tu avrai ucciso con solo un coltello da conciatore, da solo e senza protezione alcuna. Se riuscirai nell'impresa, allora potrai essere degno di essere il mio seguito. Ma ricordati: non pensare che rischierò del mio per salvarti la pelle se deciderò che verrai con me! Hai un ciclo solare di tempo."
Riprese così a tragugiare. Era da tempo che non si ubriacava, e quella sera sembrava l'ideale.

"Una prova di passaggio. Ti ringrazio per avermi dato fiducia. Domani mattina all'alba andrò nel bosco. Vedrai che tornerò con ciò che mi hai chiesto." Entrambi sentivano gente che chiamava a gran voce provenire dall'esterno.
"E' arrivato Besamor." avvisò Orunarf. "Penso che tu voglia incontrarlo per trattare con lui del tuo bottino. Usciamo?"

"Bene, fammi strada."
Prese il suo elmo e lo zaino da viaggio, per poi dirigersi verso l'uscita.

Uscirono. Fuori della casa trovarno ad aspettarli Rubus e Waltor insieme ad un uomo apparentemente della stessa età di Rubus ma rasato e quasi completamente calvo. Questi portava al fianco una spada, ma il sorriso mieloso che sfoderò alla comparsa dell'agaro e del mezzosangue indicava che le sue intenzioni era più che amichevoli.
"Vi siamo infinitamente grati per aver salvato Rubus e Cadelia da un destino orribile. Questo già sarebbe encomiabile e merita una ricompensa, ma voi avete accettato di buon grado di aiutare anche la sopravvivenza di Lafonte portando qui i pony delle teste-di-cavallo. Venite andiamo al Santuario della Fonte. Ci accorderemo lì sul vostro compenso e sono certo che la Voce della Dea vi accorderà la Sua benedizione."
Hvergelmirsen era ben lontano dall'aver capito tutto il discorso dell'uomo, non parlava abbastanza bene la lingua del baratto, ma il senso gli era abbastanza chiaro.

"Certamente! Ti chiedo perdono. E' che abbiamo visite così di rado che a volte dimentico che ci sono ospiti che non conoscono il mio nome. Sono Besamor Lungocampo per elezione il sindaco di Lafonte"
L'agaro non aveva idea di cosa fosse un sindaco, ma probabilmente era un qualcosa di simile a 'capo'

"Faccio strada allora..." disse Besamon avviandosi. Seguirono la costa del gradino fino a quello che poteva essere considerato il centro di quel piccolo agglomerato di case e si inflilarono sotto una tettoia che l'agaro aveva notato prima ma aveva assimiliato come parte di una delle case adiacenti.
Incontrarono una donna di mezza età che portava un secchio di legno colmo d'acqua. Questa li salutò e proseguì per la sua strada.
la tettoia copriva un ampio spazio di circa 20 passi di lato e poggiava per due lati sulle case vicine e per il terzo sul fianco della montagna. Sotto di essa proprio da questo lato si apriva un'arcata naturale, probabilmente l'ingresso di una caverna. Infatti passata l'arcata si trovarono in un ampia grotta dove si sentiva lo sciabordio dell'acqua. Metà dell'antro era occupato da una specie di stagno sotterraneo alimentato da un getto d'acqua che usciva dalla parete di roccia di fronte all'ingresso. Quando però la luce delle torce che Waltor e Rubus avevano portato illuminò maggiormente la parete da cui usciva l'acqua Hvergelmirsen restò per un momento senza fiato vedendo che tutta la parete era stata scolpita e ritraeva una enorme figura femminile, alta quasi 20 piedi e dalla cui bocca usciva il getto d'acqua che alimentava lo stagno. La figura era poco più che stilizzata ma si vedeva chiaramente che impugnava nella mano destra una torcia e nella mano sinistra una falce. La testa poi, che era più particolareggiata era cinta da una corona e distinta da una bocca chiusa, quasi imbronciata, da cui sporgevano due lunghi canini e da occhi dall sguardo imperioso.
Besamon gli indicò una panca di pietra che era stata scolpita a ridosso di una parete e disse: "Sediamoci pure lì e discutiamo, nell'attesa che arrivi la Voce."

"Che razza di culto è mai questo?"
Hvergelmirsen era incuriosito ed affascinato, ma l'attrazione che provava per l'impatto emotivo che aveva avvertito gli aveva messo i sensi nuovamente in allerta. La "cultura" nella quale era cresciuto gli aveva insegnato di temere ciò che non poteva capire.
"Dove tu portato me?" disse in lingua mercantile, sedendosi come sull'"attenti".

Hvergelmirsen poggiò il mento sulla mano destra chiusa a pugno, e il gomito gravava sul ginocchio, come in una tipica posa riflessiva.
"Tua gente no forte, solo Orunarf figlio di Fargradol che supera prova viene con me. A me di lui no interesse. Tua gente no ricca, donne no piace..."
Poi, un sorriso quasi malizioso sovrastato da occhi che fissavano il vuoto:
"Macellaio di gente tua no guadagno a me..."
Poi una pausa, lunga e meditativa.
"Voi da me vostro sapere e cose nascoste di sapere. Un popolo, uno o più di uno sapere nascosto. Voglio sapere di caccia e di vivere facile in posti difficili, come lavorare pelle e fare trappole. Voi vicino Narr e cose di natura che vive, voi bravi si? Voglio anche uno altro parlare che io no sa. Voglio voi clienti legati di me e aiuto di voi quando io voglio."
Poi aprì la sua sacca, mostrando i monili e gli oggetti recuperati durante il suo tragitto che lo aveva portato sin lì:
"Tu dice me merce fa cose costose si?"

Il giovane sperava di essere inteso nonostante il linguaggio del baratto assumeva solo accezioni puramente commerciali e di valutazione mercantile.

"Tu vuoi imparare la nostra lingua, a raccogliere ciò che dà il bosco, a cacciare con l'arco e a conciare pelli? Penso sia possibile, ma ci vorrà molto tempo, lo capisci? Tu vuoi restare qui così a lungo?"
Orunarf aveva probabilmente ragione: era un villaggio di codardi. Da un lato Hvergelmirsen credeva che sotto quell'apparente gentilezza Besamon avesse una paura terribile di lui ma forse il capovillaggio vedeva semplicemente il suo desiderio di rimanere per apprendere come una possibile minaccia alla sua (modesta) autorità?.
L'uomo guardò i monili e le altre cose che l'agaro credeva preziose. Di quelle di rame e di bronzo disse: "Queste valgono giusto la bravura nel fare la forma." Del ciondolo d'argento disse: "Questo è di metallo più prezioso, ma peso davvero poco." Poi vide le pietre azzurre ed esclamò: "Turchesi! Queste son pietre abbastanza preziose. Se tu trovi a chi venderle penso tu possa ricavarci una o due monete d'oro o scambiarle con qualcosa di valore."

"Tanto tempo tu dice. Quanto?"
L'agaro incalzava senza poter dar respiro all'uomo davanti a lui.

"Mesi... Lune voglio dire, probabilmente. Ci sono buoni cacciatori e un paio di buoni artigiani tra di noi, ma essere capaci non significa essere bravi a trasmettere le proprie capacità. Pensa solo a quanto tempo avrai impiegato ad imparare a maneggiare tanto bene l'arma che porti con te... Per imparare le lingue o a cacciare o a trasformare una pelle d'animale in un abito ci vuole un tempo simile. Non fraintendermi, non voglio scoraggiarti o cercare di invogliarti a lasciare il nostro villaggio, che di sicuro è più protetto con te che senza di te, è solo che non conosco né la tua meta né i tuoi obiettivi ma so che tempo una luna o al massimo due la neve e il freddo saranno tali da impedirti di partire e ti costringeranno a restare qui per almeno altri quattro o cinque mesi... cioè lune."
Mentre l'uomo stava ancora parlando arrivò nella grotta una giovane donna ammantata in un abito grigio e coi capelli nascosti dal cappuccio del mantello anch'esso grigio. Sembrava giovane: il suo volto era contraddistinto da un naso aquilino volitivo tanto quanto decisi erano gli occhi che in quella luce parevano grigi come il vestito ma forse erano verdi.
La donna parlò al Besamon nella loro lingua. La sua voce sembrava autoritaria e, nonostante fosse una donna, l'uomo pareva considerarla più come una sua pari che come una persona di rango inferiore.
Il sindaco tradusse nella lingua del baratto le parole della donna: "La Voce dice che salvando i nostri concittadini ti sei guadagnato il favore della Dea. Vuole sapere se sei qui per essere iniziato ai suoi Misteri o se sei soltanto in cerca di fama e ricchezza..."

"E quella sarebbe la loro dea?? Bah! Una comune femmina..."
"Io no sciamano di niente! Io uccide e morti pagano cinque dei di mio popolo. Uno di dèi è preferito e morti di mia ascia servono a lui! No, io cerca fama, cose costose e potere! Tu dare me cosa pesa uguale a proposta mia si?"

La donna appena entrata non era presa minimamente in considerazione dal giovane.

L'uomo riferì alla donna quello che l'agaro gli aveva detto. Lei non gli rispose ma Besamon disse: "Perdonami ma non credo di aver capito cosa vuoi dire riguardo alla proposta. Vuoi per caso barattare i monili che mi hai mostrato o cosa?"
La donna poi gli disse qualcosa e indicò lo stagno sotterraneo.
"La Voce dice che se desideri vedere cosa ti attende devi buttare qualcosa di tuo nello stagno della fonte."

"Acqua dice di mio futuro? Bene. Ma questo no prezzo abbastanza."

Così si alzò, prese un medaglione di rame e lo gettò nell'acqua cristallina. Poi si sporse per osservarla meglio.